Perché grazie a Marco Cappato
A Marco Cappato, militante radicale impegnato nell’associazione Luca Coscioni, va la mia totale gratitudine.
Gli sono grato perché si batte per un diritto di cui vorrei beneficiare: il diritto di disporre del mio corpo come meglio credo in qualsiasi momento senza che vi siano impedimenti e che altri possano aver legge su di esso. Il diritto cioè di potermene andare quando ritengo sia giunto il momento, nel pieno possesso delle mie facoltà o, qualora mi trovi irrimediabilmente compromesso e tenuto in vita artificialmente, anche senza più poter agire per lasciare questa terra.
Gli sono grato perché si batte per rendere lecito il suicidio assistito, vale a dire perché gli individui possano essere aiutati a compiere l’estremo gesto senza dover ricorrere ad orrende pratiche incerte, dolorose ed offensive degli altri: questo vorrei fosse dettato dalla mia Costituzione.
Gli sono grato perché cerca di tutelare quanti, avendo affermato questa propria volontà, soffrono in fin di vita o in condizioni disperate, inumane e radicalmente lontane da quello che ritengono sia la vita: l’esistenza biologica sì, ma anche la presenza mentale ed il piacere di esserci.
Gli sono grato perché ha praticamente aiutato persone desiderose di arrendersi a farlo, giudicando questo un proprio dovere.
Gli sono grato perché ha accettato di pagare in solido questa sua disponibilità e abnegazione a favore dell’altro, del più debole, dell’offeso.
Gli sono grato perché non ha esitato a dichiararsi responsabile dei suoi atti ed anzi ha ammesso quanto le sue convinzioni si siano tramutate in azioni perseguite volontaristicamente e con generosità.
Gli sono grato perché afferma che non si deve avere paura quando si è convinti di qualcosa e che merita combattere e pagare tutti i prezzi per difendere ciò in cui si crede.
Gli sono grato perché l’ultima sentenza emessa dalla Corte d’Assise di Milano – chiamata a giudicare se l’aiuto fornito a Fabiano Antoniani, il “dj Fabo”, accompagnandolo in Svizzera alla clinica Dignitas configurasse il reato previsto dall’articolo 580 del Codice penale, che prevede per «chiunque aiuta o determina altri al suicidio ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione», la reclusione da 6 a 12 anni – stabilisce che sia la Corte Costituzionale a pronunciarsi, portando quindi così all’attenzione dei legislatori la questione del “fine vita”, un tema che pone certamente molti interrogativi etici e giuridici e che nella recente legge sul testamento biologico ha trovato solo una prima risposta.
Gli sono grato perché si apre così la strada all’affermazione di questo diritto di togliersi la vita per il quale sarei disposto a dare la vita.
Gli sono grato perché spero che sia consentito alle persone capaci di intendere, non solo affette da patologie irreversibili, ma portatrici di non più sopportabili sofferenze, di ottenere legalmente l’assistenza per morire dignitosamente e senza ulteriore dolore anche in Italia, non dovendo più andare in Svizzera.
Una intervista a Marco Cappato
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