Un voto per la sicurezza

Molti opinionisti hanno notato che nella campagna elettorale per le elezioni politiche del 4 marzo prossimo il commento della cronaca nera ha soppiantato la discussione sui programmi e le intenzioni di governo. Con toni da “grand guignol” i media hanno amplificato questa spasmodica attenzione della politica.

Risultato: paura e sicurezza sono l’argomento “principe” intorno al quale ci si interroga in attesa dell’apertura dei seggi, in virtù di un paradosso. I dati infatti dicono che gli omicidi nel 2016 sono stati 400, circa 4 volte meno di quelli degli anni Novanta: 0,7 omicidi ogni 100mila abitanti secondo l’Istat, per la quale i furti in abitazione diminuiscono dopo anni in cui sono stati in crescita, mentre restano stazionari borseggi e rapine.

Anche i dati del ministero dell’Interno relativi al 2016 dicono che si è ridotto il numero di omicidi, rapine, violenze sessuali, furti ed estorsioni, con una diminuzione di reati del 16,2% in meno rispetto all’anno precedente.

Da sfatare anche il luogo comune che siano gli immigrati i principali autori di crimini e reati. Gli stranieri denunciati o arrestati nel periodo 1° agosto 2016-31 luglio 2017 sono secondo il Viminale 241.723 a fronte di un numero complessivo di 839.496 segnalazioni di reato, il 28,8%, con un leggero calo rispetto ai 12 mesi precedenti.

Eppure un sondaggio effettuato recentemente dalla SWG pubblicato su “Il Messaggero” dice che il 70% degli italiani ha una percezione di insicurezza, percentuale che 15 anni fa era del 55%. Insomma la paura dei crimini non è proporzionale all’entità dei reati, ma alla probabilità di esserne vittima. Se poi si getta benzina sul fuoco della paura per un pugno di voti, l’incendio divampa.

Succede così che la campagna elettorale la si possa fare auspicando, come fa Matteo Salvini, segretario e candidato premier della Lega, che un cittadino su due, come in Svizzera, sia armato, si depenalizzi il reato di legittima difesa e si reintroducano 4 mesi di servizio militare obbligatorio solo per imparare a sparare.

A niente sembra servire sapere che a Macerata un uomo in possesso di una semiautomatica a uso sportivo semini il panico, usando gli stranieri come bersaglio di un folle tiro a segno per vendicare la morte di una ragazza; che un ventunenne di Pisa in possesso di un arsenale di armi detenute clandestinamente si metta a sparare all’impazzata contro i clienti di un bar che lo avevano rimproverato per le sue scorribande in moto nel quartiere; o che in Florida, dov’è consentito detenere armi da fuoco, un ragazzino di 19 anni, l’ultimo di una lunga serie, stermini 17 compagni di scuola e ne ferisca altre decine.

Ma non sono solo gli xenofobi, i razzisti e i populisti a porsi il problema della sicurezza. Un articolo di Alexander Damiano Ricci pubblicato il 16 febbraio scorso su Linkiesta, da cui sono tratte anche varie informazioni riportate in precedenza, spiega che molti governi in Europa si pongono il problema della sicurezza in varie forme.

La Francia di Macron lo fa annunciando l’obiettivo di portare al 2% del Prodotto interno lordo le spese militari: 300 miliardi di Euro nel corso dei prossimi 6 anni, di cui 37 soltanto nel nucleare, non solo per rispettare le promesse fatte nel quadro degli accordi NATO, ma anche per «compensare le mancanze degli anni passati e costruire un esercito moderno, sostenibile e protettivo», ha affermato il ministro della Difesa, Florence Parly, facendo da un lato proprie argomentazioni a lungo sostenute dal Front National di Le Pen e confermando dall’altro l’impressione che l’Eliseo nutra nostalgie di “grandeur” realisticamente avvalorate dalle smanie di Trump e dalla Brexit che alla Francia lascerebbe il ruolo di unica potenza nucleare nell’Unione europea.

Gli fa eco il Primo ministro polacco Morawiecki, esponente di quella destra dilagante in Europa, che, richiamandosi appunto alle promesse fatte in sede NATO, ha richiamato la Germania ad investire nella propria difesa quanto pattuito ripetendo l’antico ritornello latino: «Si vis pacem, para bellum». «Il modo migliore per garantire la pace, è attrezzarsi per la guerra», ha detto.

Il suo ministro degli Interni, Joachim Brudzinski, nel frattempo ha annunciato un piano di modernizzazione della polizia polacca da 1 miliardo di euro entro il 2020, i cui primi 36 sono stati spesi per aumentare i salari degli agenti con le paghe più basse mentre è previsto l’ingresso in servizio di 4 mila nuovi agenti.

In Germania, tra le fila socialdemocratiche della SPD – che gli ultimi sondaggi danno sotto al 17%, inseguita  dall’AFD entrata in Parlamento alle scorse elezioni con le sue parole d’ordine radicali e xenofobe –, la principale candidata alla successione del dimissionario Schulz, l’ex-ministro del Lavoro Andrea Nahles, ha “bacchettato” l’ala del suo partito che vorrebbe un maggior impegno sulle politiche sociali affermando che l’agenda politica «non si può più declinare a piacimento» e che «se arrivano un milione di persone, non possiamo aspettarci che siano tutti gentili. Ma chi non si tiene alle regole deve subire dure conseguenze». Anche a Berlino, dunque, il tema sicurezza la fa da padrona, sia che la si declini a livello di politica interna che estera e dell’Unione europea.

Anche il leader laburista britannico Jeremy Corbyn ha fatto suo il leit motiv di “law and order”, mettendo in relazione l’aumento degli indici di criminalità nel Paese ai tagli alle forze dell’ordine compiuti quando proprio quando Theresa May era ministro degli Interni.

Non è del tutto insensato questo atteggiamento. La politica, infatti, così come la intendiamo da quando Thomas Hobbes ne ha tracciato il paradigma moderno, si fonda appunto su un paradigma securitario, quello in virtù del quale il cittadino devolve un potere eccezionale allo Stato a patto che esso garantisca la propria sicurezza ed incolumità, sul piano internazionale mediante la forza degli eserciti e su quello interno tramite le forze di polizia ed il funzionamento dell’apparato della giustizia.

Essere impunemente vittime di reati contro la persona o subire ingerenze non necessariamente militari nell’andamento della propria vita quotidiana costituisce la rottura di quel patto che è un patto tra quanti vanno a votare e quanti, essendo stati eletti, assumono il compito di far funzionare lo Stato e garantire l’andamento delle vicende che riguardano la collettività.

Ma ancor più l’insicurezza è destinata a crescere quando la crisi economica si fa sentire sulla conduzione quotidiana dell’esistenza, quando si acuisce la mancanza di opportunità di lavoro, quando entra in discussione l’assistenza sanitaria o cresce l’incertezza delle pensioni, quando condoni ed evasione sono largamente tollerati, anzi costituiscono motivo di vanto e furbizia, ma al tempo stesso la tenaglia della riscossione crediti marcia ad una velocità assai più rapida di quella del pagamento a 90-120 giorni così come i diritti delle banche e delle finanziarie sono ben più solidi di quelli del risparmiatore o del miserabile.

Nemmeno la politica internazionale da alcun segno di volontà di sicurezza quando l’appello alla guerra o alla missione di polizia internazionale supera di gran lunga il lavoro degli ambasciatori e dei mediatori di pace.

Anche questa è sicurezza. È sicurezza che la devoluzione della forza sia avvenuta perché essa non venga impiegata e laddove sia necessaria lo sia solo per giustizia. Il Leviatano, insomma, deve tornare ad essere una figura mitologica e simbolica, quale è stata pensata, non un mostro come lo si è voluto interpretare. A nessun bambino si dice che arriva il bau bau o l’uomo nero per fargli passare la paura. Gli adulti che lo fanno meritano il biasimo, non l’approvazione. E non importa essere dei bambini per comprenderlo.

In Senato giace un disegno di legge presentato nel febbraio dello scorso anno, il n. 2688, che introduce pene per chi diffonde informazioni atte a turbare l’ordine pubblico o a destare pubblico allarme, fuorviare settori dell’opinione pubblica o aventi ad oggetto campagne d’odio e campagne volte a minare il processo democratico. Considerati i toni della campagna elettorale è facilmente comprensibile perché non sia stato ancora approvato.

Ma c’è un’ultima considerazione che dev’essere fatta prendendo per buono il principio che spetti proprio alla politica il compito di garantire davvero, e non solo in termini di ordine pubblico, la sicurezza dei cittadini. Il fatto cioè che la parola sicurezza ha a che fare con l’affidabilità, perché è solo fidandosi, di se stessi e degli altri, che ci si può sentire sicuri. E l’affidabilità in politica, o quanto meno in quella fondamentale parte della politica data dal consenso, si misura su tempi lunghi, non nel lampo di una campagna elettorale, nella coerenza del detto con il praticato, nella rispondenza dei fatti alle parole.

Il 4 marzo prossimo è ragionevole recarsi alle urne scegliendo il proprio modo di intendere la sicurezza ed è con il ricatto che essa venga meno che da una parte e dall’altro, quantunque riguardo a pericoli diversi, si tenta di far leva. Ma affidabile e securitario sarebbe invece proprio far sentire l’elettore non stritolato da questa tenaglia. Questo è invece quello che tristemente si ha dinanzi.

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