Alla fine del mondo, là nella Terra del fuoco
“Herencia y Co-herencia“, eredità e coerenza, è un programma che va in onda ogni sabato alle 14 su Radio Universidad de Chile, l’emittente dell’Ateneo di Santiago che trasmette sulle frequenze medie 102.5.
Lo conduce Susana Muñoz Aburto, direttrice del Centro di sviluppo sistemico (Centro Desarrollos Sistémicos) che si chiama Serbal, ovvero sia “frassino”, l’albero che – si legge nel loro sito – «da oltre 50 milioni di anni, a tanto risalgono le sue antiche origini, cresce sulle alture adattandosi a diversi contesti, così flessibile da poter vivere nel gelo dell’inverno e nelle torride estati, conservando tuttavia la capacità di fiorire e dar frutti curativi e nutrienti in condizioni avverse; un albero conosciuto nella cosmologia celtica come “l’albero dei sussurri”, il quale generalmente cresce intorno a luoghi sacri dove scorre l’acqua da cui sgorga la vita, solitario o in compagnia, testimoniandoci così della sua resilienza e della sua capacità di adattamento».
Il Centro Desarrollos Sistémicos Serbal è stato fondato a partire dal 2003 con l’intento di «creare uno spazio dove sia possibile generare conoscenza e nel quale le persone possano sviluppare le proprie risorse e dispiegare i propri potenziali». Dopo molti cambiamenti, ora si presenta come un centro nel quale professionisti in vari ambiti – psicologia, comunicazione, arte, disegno, fotografia, medicina, pedagogia e diritto – operano per fornire le proprie competenze per la crescita di progetti creativi rivolti a quanti necessitano di un sostegno di tipo sistemico- relazionale affinché possano avere una crescita individuale ed una migliore qualità della propria vita.
Susana Muñoz Aburto, la coordinatrice del gruppo, prima di presentarsi come psicoterapeuta con tutti gli aggettivi delle scuole dove si è formata, tra cui quello dello psicodramma, dà di sé in spagnolo questa definizione: “matrona”. È la levatrice – sì proprio quella che porta alla luce i bambini, l’ostetrica che a me verrebbe da chiamare “mallevadrice” (quanto più bello sarebbe “mallevadora”!), perché in definitiva «garantisce l’adempimento di una obbligazione assunta da un’altra persona». Oppure, se si preferisce, una maieutica, o ancora – e spero lei non me ne voglia perché me ne servo in senso solo positivo – una psicopompa.
È lei che conduce le interviste del programma “Herencia y Co-herencia”, eredità e coerenza, vale a dire quel che ti porti dietro perché il Dna o qualche altro accidente te l’hanno impresso addosso e la fedeltà o l’infedeltà che a quel progetto embrionale hai riservato nel corso degli anni.
Durante il suo viaggio in Italia con suo figlio Ignazio Rivera Muñoz e con Fabiola Aburto – che in Cile fa lo stesso lavoro che ho fatto anch’io tutta la vita – ne ha approfittato per intervistare numerose persone tra cui la mia amica Cristina Canzio.
Cristina Canzio è la bisnipote di italiani che con il loro barcone da immigrati se ne andarono molto tempo fa – nel 1870 – in Argentina, riuscendo a farla studiare addirittura a Palo Alto in California dove insegnavano Gregory Bateson e Paul Watzlawick, finché però, negli anni Settanta di un millennio che sembra tanto lontano e non lo è affatto, come sembra dimostrare quanto sta avvenendo in Venezuela, un criminale di nome Jorge Rafael Videla fece sparire, torturò e uccise più di 30 mila persone, e allora Cristina prese anche lei il suo barcone da immigrata e se ne venne in Italia, dove oggi è una stimatissima psicoanalista e psicoterapeuta a cui, se lo avessi, affiderei mio figlio, nel caso ne avesse bisogno, perché lo aiuti a trovare se stesso e a tirar fuori il meglio di sé.
Susana Muñoz Aburto l’ha intervistata e il loro colloquio lo si può ascoltare qui. E poi le ha chiesto se aveva altri nomi da proporle per queste interviste e Cristina, fra gli altri, ha fatto anche il mio.
Così, presentandomi come “periodista”, e con l’aiuto di Cristina che ha fatto da interprete, nell’ottobre scorso mi ha fatto raccontare un po’ di cose di me e del tempo nel quale ho avuto la fortuna di vivere, conoscendo tante straordinarie persone.
Si è discusso a lungo – ma in tutto sono solo 56 minuti, neanche un’ora, e sono stato anche tanto ad ascoltare, a capire, ad apprendere – di molte cose, tante davvero, dall’Einaudi di Torino nel primo dopoguerra alla storia dell’apocalisse, dall’amore per gli Inti Illimani alla chimica di Primo Levi, all’energia che anima gli atomi, al suicidio che è sempre un rispettabile rimedio. Ecco questa è l’intervista, per chi avesse interesse e voglia di ascoltarla:
https://youtu.be/9BMsHuZwOqQ
Il filmato dell’intervista su Youtube
La puntata di “Herencia y Coherencia” di sabato 2 febbraio 2019
Tags: Cristina Canzio
Ho ascoltato questa bella intervista, molto intima direi.
Riguardo alla morte, sono d’accordo che sia l’unica cosa che noi tutti abbiamo in comune; ma è anche vero che – proprio grazie alla scrittura, e non solo, anche grazie alle ‘impronte’ che noi tutti ci lasciamo alle spalle – il nostro Testimone non muore mai ma viene semplicemente donato e verrà raccolto da chi avrà la nostra stessa sensibilità.
Così come è altrettanto vero che noi tutti nasciamo ma non tutti vivono, pur essendo vivi a tutti gli effetti.
Il suicidio è un gesto estremo che sì, va rispettato anche quando non lo si comprende appieno. Nella mia famiglia c’è stato un suicidio, avvenuto durante il periodo della guerra, un gesto che mi è stato tenuto nascosto per anni e anni; ne sono venuta a conoscenza solo dopo la morte di mia madre ed è stato un colpo tremendo, un sentirsi ormai inutile riguardo a qualsiasi mio intervento per fermare quel gesto o per cercare di capire. Mi si è aperto uno spiraglio di comprensione riguardo ai modi di fare, a volte ostili, di mia madre; mi sono sentita profondamente affranta per il dolore inimmaginabile che avrà vissuto mia nonna e il mio non aver potuto fare assolutamente nulla.
Sì, siamo chimica e il nostro stato ‘acquoso’ si dissolve con il nostro ultimo respiro; ma tutti quei sassolini che, inevitabilnente, abbiamo lasciato cadere ad ogni l
passo lungo il nostro cammino, erano bianchissimi e visibili a tutti coloro che, giunti dopo, hanno ripercorso lo stesso nostro sentiero.
Questo, forse, è l’unico conforto in grado di alleggerire la nostra consapevolezza d’essere ‘precari’, e la mia esperienza dunque m’insegna che nulla può essere tenuto nascosto per sempre, perché la verità esiste e prima o poi viene sempre a galla. Per fortuna.
Maria Grazia Casagrande