La politica ritrovata. XIX. Una proposta politica
XIX. Una proposta politica
Fin dalle prime righe di questo testo si è voluto evidenziare alcuni aspetti critici nei confronti del libro di Revelli, pur condividendo in pieno il fatto che sia stato scritto, le motivazioni di fondo che hanno indotto a scriverlo, gli obiettivi per cui evidentemente è stato scritto, ed anche la forza delle argomentazioni e dei materiali a cui si è attinto per scriverlo.
Perciò queste pagine devono essere intese unicamente come un contributo aggiuntivo, un tentativo di integrare e in alcuni casi di suggerire altre direzioni all’impianto sostanzialmente condivisibile dell’opera di Revelli, mettendoci e mettendo in guardia da sottovalutazioni e rischi. Sono serenamente consapevole di non aver individuato quel nuovo paradigma della politica che solo potrebbe preservarci dalla «sconfitta, per tutti». Ma, se non altro, ho partecipato al gioco, e in questo consiste la politica, anzi, in questo consiste anche la vita. E, magari, chi non vuol essere sconfitto insieme a tutti, ha ora qualche elemento in più per individuare quel nuovo paradigma.
Se ne può aggiungere qualche altro? Si può, in conclusione, apportare qualche nuovo elemento? Non resta che provarci.
Innanzitutto la coscienza, su cui ho più volte messo l’accento. Così com’è stata esposta sembra dover scaturire quasi per magia dall’interiorità di ognuno: o c’è o non c’è. Può comparire d’un tratto, ma seguendo vie sue proprie. In realtà non è esattamente così, o almeno non del tutto.
La coscienza ha a che fare con la conoscenza, la conoscenza con il sapere, il sapere con l’educazione, l’educazione con lo studio, lo studio con la fatica come scelta. Ognuna di queste parole può essere utilizzata come elemento aggiuntivo da apportare all’individuazione del nuovo paradigma e al ripristino di una almeno maggiore sicurezza.
S’è poi detto che la coscienza ha a che fare con l’interiorità di ognuno, e altrove che la religione farebbe bene a limitare il suo campo d’azione all’interiore homine. Ebbene, per chi ci crede, qui si aprono opportunità straordinarie ed inaspettate: resta solo da coglierle.
In un libro partorito «nei giorni tragici della fase culminante e decisiva della guerra del Golfo»»[1] – della prima guerra del Golfo – Alberto Asor Rosa s’interroga con intelligenza e buona fede su temi per nulla distanti da quelli fin qui trattati, mettendo anche lui in relazione un libro neo-testamentario – l’Apocalisse di Giovanni, anziché il vetero-testamentario Libro di Giobbe – con le vicende politiche dei giorni nostri ed in particolare con gli interrogativi che ci impongono le guerre.
Ebbene, in quel libro, e per l’esattezza nell’ultimo capitolo intitolato Etica della responsabilità e etica della fede, ovvero: «Filius hominis», Asor Rosa sostiene che dinanzi all’Apocalisse verso cui ci stiamo incamminando, l’etica della responsabilità – laica e figlia del nichilismo – non è più perseguibile. Scrive:
Oggi non è più possibile questa elegante sprezzatura intellettuale, questa superiorità che si esprime con il distacco [...]. La credenza nei valori umani della responsabilità (verità, giusitizia, bene comune) dev’essere altrettanto assoluta di quella delle fedi più cieche. Questi valori, infatti, sono ormai divenuti totalmente auto-referenziali. Non sono giustificati da nulla che non sia il fatto che qualcuno li sostenga e li condivida contro tutte le insidie del buon senso comune (ossia, del consenso). Per abbracciare questi valori oggi bisogna accettare d’imboccare la strada che porta al sacrificio [...][2].
Per questo sostiene che oggi occorra «una religione più potente delle religioni, una fede più forte delle fedi: un sentire interiore tanto fervido da attirare sulla terra la trascendenza e da spedire i nostri umani pensieri in Paradiso»[3].
Asor Rosa aggiunge che si tratta di chiamare in causa la trascendenza:
Con altre parole si potrebbe dire che la verità e la giustizia non possono più venire da fuori: devono venire da dentro. E possono venire da dentro soltanto se il mio pensiero sarà tanto forte da essere capace di lottare ogni giorno con il consapevole obiettivo di non essere ridotto ad una delle tante manifestazioni possibili del con-senso, se continuerà a sforzarsi di produrre, ostinatamente, senso, ossia verità. Il ragionamento [...] muove dalla persuasione, – che la pratica ha sperimentato e consolidato, – che senza una Riforma non ci saranno riforme. E una Riforma si fa, innanzitutto, in interiore homine. [...] Si può uscire dall’Occidente, solo passando attraverso la propria anima[4].
Invitando a notare le numerose convergenze tra il lessico asor-rosiano e quello usato, derivandolo da vari autori, nel nostro scritto – giustizia, da dentro, consapevolezza, consenso, senso, pratica, interiore homine, Occidente, anima – qui si vuol sottolineare l’equivalenza tra l’obiettivo della Riforma e quello della rifondazione della politica e tra l’obiettivo dell’uscita dall’Occidente e quello dell’individuazione di un nuovo – radicalmente diverso – paradigma della politica.
La ricetta di Revelli indica, in estrema sintesi, fraternità, orizzontalità, maternità e depotenziamento; quella di Asor Rosa solidarietà, rinuncia all’indifferenza, etica della com-passione; entrambe apertura all’altro; la nostra “coscienza”, intesa come congiunzione di dentro e fuori.
Ebbene, a favore di questa coscienza in interiore homine e, poi, o senza poi, in exteriore homine, possono essere spese tutte le competenze derivanti dallo studio dell’animo umano: quelle che considerano l’uomo cane, o lupo, o qualunque altro animale, o, come s’è detto, un po’ tutti assieme.
Può, ed anzi deve, essere spesa la psicanalisi. Di più: può e deve spendersi la psicanalisi, ma solo se riesce a liberarsi dal pregiudizio, senza per ciò perdere la consapevolezza di una tale costatazione, che gli uomini «non sono per la maggior parte che gentaglia, sia che professino a gran voce questa o quella dottrina etica, sia che non ne professino alcuna»[5].
Altri elementi da apportare per individuare quel nuovo paradigma: Hobbes, di nuovo. Comprendendo che il patto da lui proposto era ragionevole, conveniente, ma c’è chi vi ha contravvenuto. Comprendendo che in esso la forza viene devoluta, ma non cessa di esistere: oggi va messa in cassaforte, al posto forse delle riserve auree che, invece, andrebbero sparse per il mondo. Comprendendo che quel patto oggi può essere sottoscritto solo per un Leviatano dalle sembianze delle Nazioni Unite o, meglio, e con quel pizzico di coraggio dell’utopia, di uno Stato mondiale, gli Stati Uniti del Mondo, nessuno escluso.
Di una Costituzione globale che indichi diritti e doveri dell’umanità: diritti civili, politici, sociali; e tra i doveri quello di pagare le tasse per l’esistenza di questo Leviatano e di esercitare il voto con cui il Leviatano viene eletto.
Quella Costituzione in parte esiste, si chiama Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Naturalmente va rivista, trovando la mediazione – che altro è la politica se non mediazione – tra diritti considerati tali dall’Occidente e diritti considerati tali da altri popoli del mondo[6]. Rendendola davvero universale, o, almeno, globale.
Per individuare poi il nuovo paradigma politico occorre anche stabilire che il fine della politica è la politica. Che addirittura occorrerebbe un partito politico il cui dichiarato fine fosse la politica. Intesa, naturalmente, come dialogo, e mai come guerra, che, s’è detto, è la negazione ontologica della politica.
Occorre, come si è detto, un supplemento d’indagine sulla morfologia del partito, dei partiti, che tenga conto delle sconfitte subite, ma anche dell’esperienza accumulata. Che insomma continui a ragionare, sul filo dei pensieri di Antonio Gramsci, del moderno Principe, del consenso e dell’egemonia.
Occorre che si rinunci alla ragion di Stato, o che almeno a quello Stato si dia il volto dei cittadini che lo compongono. Occorre che la politica impari ad uscire dal dilemma, che finalmente prenda in considerazione che sempre tertium datur, e magari anche quartum.
Partiamo da qui: non trovare un nuovo paradigma della politica non sarebbe una sconfitta per tutti. L’alternativa non è così secca. Ma certamente ne avremmo tutti molto giovamento. E forse, saremmo almeno un poco più sicuri.
[1] Alberto Asor Rosa, Fuori dall’Occidente. Ovvero ragionamento sull’Apocalissi, Torino, Einaudi, 1992, p. vii.
[2] Ivi, p. 119.
[3] Ivi, p. 120.
[4] Ibidem.
[5] Sigmund Freud, Lettera al pastore Pfister, 9 ottobre 1918, in sigmund freud, Drei Abhandlungen zur Sexualtheorie, Leipzig-Wien, Franz Deutiche V., 1905, tr. it. Tre saggi sulla teoria sessuale, di Mazzino Montinari, Torino, Boringhieri, 1975, p. 12.
[6] Cfr. Antonio Gambino, L’imperialismo dei diritti umani. Caos o giustizia nella società globale, Roma, Editori Riuniti, 2001.
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