La politica ritrovata. XVII. Consigli per gli acquisti
XVII. Consigli per gli acquisti
Nel capitolo XIV si è parlato di acquirenti e venditori, di produttori e consumatori come di due fluide classi che sempre più tendono a contrapporsi. In questa contrapposizione spesso non riescono nemmeno a identificare l’altra come “altra”, come “l’altro”, come il non-sé. Ma il fatto che non riescano a “identificarla”, non impedisce che l’“avvertano”, almeno emotivamente, come tale.
Se la reciproca conoscenza avvenisse anziché dall’esterno – fra un io e un loro, fra un noi e gli altri – dall’interno – se cioè ognuno dei due gruppi mantenesse la consapevolezza di far parte dell’altro anche quando non ne fa parte, di consumare quando produce, di produrre quando consuma, di vendere quando compra e di comprare quando vende – saremmo in presenza di una “coscienza” così come l’abbiamo definita insieme a György Lukács:
Coscienza significa quel particolare stadio della conoscenza in cui il soggetto e l’oggetto conosciuto sono omogenei nella loro sostanza, in cui quindi la conoscenza avviene dall’interno e non dall’esterno. [...] L’importanza primaria di questo metodo conoscitivo è che il semplice fatto della conoscenza produce nell’oggetto conosciuto un’alterazione essenziale: ad opera della presa di coscienza la tendenza in esso già preesistente diventa mediante la conoscenza più sicura e più forte di quanto non lo fosse prima o di quanto avrebbe potuto esserlo senza di essa. Questo metodo conoscitivo significa però altresì che in tal modo scompare la differenza tra oggetto e soggetto, e quindi pure la differenza tra teoria e prassi. La teoria, senza perdere nulla della sua purezza, imparzialità e verità, si trasforma in azione, in prassi. [...][1].
C’è un’evidente convergenza fra questa coscienza intesa come “conoscenza dall’interno” e quelle «logiche “altre”: cooperative, connettive, relazionali»[2] a cui Revelli fa riferimento, come si è visto, nell’ultima parte del suo libro e dalle quali, a suo giudizio, potrebbe scaturire un nuovo paradigma politico.
Così come una convergenza la si può riscontrare con la «dimensione orizzontale», nella quale prevalga «la capacità di istituire relazioni, di corresponsabilizzare e di condividere…»[3], su cui egli pensa debba strutturarsi il nuovo paradigma politico in gestazione.
Qualche dubbio invece permane in chi scrive sul fatto che questa coscienza possa svilupparsi nell’ambito di quella «subpolitica» che Ulrich Beck individua come soggetto nuovo della «società globale del rischio».
È infatti vero che quelle forme di autorganizzazione con cui si esprime la società dal basso – movimenti e associazioni diffusi su scala mondiale – seguono pratiche orizzontali, non verticistiche, e innovative nell’ambito della politica. Sono prevalentemente pacifiste e ostili alla violenza, sensibili al tema ecologico e proiettate alla risoluzione di temi “globali”, così come, al loro interno, propense a valorizzare l’apporto individuale, e, al loro esterno, volte alla connessione in sistemi reticolari, relazionali, cooperativi. Si può convenire anche che in esse si possano intravedere «i primi tratti di una “cittadinanza globale”»[4].
Ma resta da sciogliere il quesito se davvero questa subpolitica, una volta affacciatasi sulla scena politica, dove davvero si prendono le decisioni della politica, possa rinunciare, come ipotizza Revelli, a quella pratica di potenza, più o meno violenta, che ha contraddistinto ogni formazione politica nel corso della storia.
Resta cioè da capire fino a che punto le istanze politiche della subpolitica possano essere perseguite mediante i mezzi propri di queste formazioni – il boicottaggio, la denuncia attiva e assolutamente nonviolenta delle ingiustizie globali, la mobilitazione dei comportamenti quotidiani, le proprie preferenze di consumo – e fino a che punto, pur non essendo disinteressate al «terreno istituzionale»[5], possano esimersi dal confrontarsi su questo terreno, che è appunto quello dove poi le decisioni politiche si prendono. E dove, per vincere, bisogna servirsi dei trucchi e delle regole della politica fino all’ultimo trucco e all’ultima regola a disposizione della politica: il conflitto, la guerra.
In ultima analisi c’è da chiedersi se l’«abbandono radicale di quella volontà di potenza che dopo la proclamata “morte di Dio” era assurta a legislatore del mondo conducendolo sull’orlo dell’abisso»[6], possa prodursi semplicemente per volontà soggettiva o debba, invece, essere stabilita da una norma alla quale nessuno può sottrarsi, pena una ritorsione. Se insomma l’abbandono radicale della volontà di potenza abbia una forza sua propria, o debba essere imposta con la forza. E, infine, se siano gli uomini a poter modificare le istituzioni trasformandole in un Leviatano che assume tutta la forza per impedire la forza, o se, invece, solo il Leviatano possa modificare gli uomini, spingendoli a rinunciare alla forza.
Sia che si adotti la prospettiva della coscienza che quella della subpolitica, il punto di vista è spostato dalla parte degli uomini che si affacciano alla politica. È infatti ad essi che ci si rivolge auspicando un nuovo paradigma politico.
Così si può invitarli, come fa Revelli, a «“guardare” l’Altro ([...] vederlo: percepirlo nella sua esistenza e identità – accorgersi che esiste)» e nel «guardare noi stessi con gli occhi dell’Altro»[7]. A sentirsi, come propone Peter Singer, dopo l’11 settembre, “cittadini globali”, cambiando l’idea di comunità fuori dagli schemi nazionali, perché questo ormai è, oltre che immorale, «anche pericoloso»[8]. A rigettare, come suggerisce Balducci, «la fiducia, tipica della tribù, che l’uso della forza sia idoneo a risolvere i conflitti tra i popoli»[9], divenendo perciò uomini planetari.
Ma gli inviti sono sufficienti? Possono innescare la modificazione? E, ancora, è sufficiente fare della guerra un tabù, e della non-violenza il proprio codice comportamentale e la propria pratica strategica, per avviare «un nuovo, radicalmente nuovo, statuto della politica»[10]?
Lo scetticismo è d’obbligo. Sta nelle cose. La realtà ha preso un’altra piega, per quanto giusti e condivisibili siano i moniti testé enunciati, e anche quello di Gustavo Zagrebelsky, secondo il quale «L’ingiustizia non può essere il prezzo di nessuna politica, per quanto alto e nobile sia l’ideale che questa persegue [...] Nessuna politica [può essere considerata] conforme a giustizia se il perseguimento del suo fine comporta il prezzo dell’ingiustizia, del male causato all’innocente»[11].
Riprendendo la hobbesiana, machiavellica, nietzschiana, marxista, considerazione di Brecht, «giratela come vi pare, prima viene lo stomaco, poi la morale».
Per quanto blasfemo possa risultare, merita ricordare le parole di Lenin, registrate da Gor’kij, dopo che questi aveva ascoltato l’Appassionata di Beethoven:
«Non conosco nulla di più bello dell’Appassionata e l’ascolterei ogni giorno. È una musica stupenda, sovrumana! Penso sempre con orgoglio e forse con ingenuità: ecco i miracoli di cui sono capaci gli uomini!» Poi, socchiusi gli occhi, aggiunse con un sorriso malinconico: «Ma non posso ascoltare troppo spesso la musica. Agisce sui nervi, vien voglia di dire stupidaggini e di carezzare gli uomini che, vivendo in un sudicio inferno, riescono a creare tanta bellezza. Ma oggi non si possono fare carezze a nessuno. Vi sbranerebbero la mano. Oggi bisogna picchiare sulle teste, picchiare senza pietà, anche se sul piano ideale siamo contrari a ogni violenza. Ehm, ehm, il nostro è un compito diabolicamente difficile»[12].
[1] György Lukács, Il problema della guida intellettuale, in Scritti politici giovanili 1919-1928, cit., p. 20.
[2] Revelli, p. 121.
[3] Ibidem.
[4] Ivi, p. 123.
[5] Ivi, p. 124.
[6] Ivi, p. 125.
[7] Ivi, p. 126.
[8] Peter Singer, One World. L’etica della globalizzazione, cit., p. 143.
[9] Ernesto Balducci, La morale dell’uomo planetario, cit., p. 247.
[10] Revelli, La politica perduta, cit., p. 128.
[11] Gustavo Zagrebelsky, L’idea di giustizia e l’esperienza dell’ingiustizia, cit., p. 17.
[12] Maxim Gor’kij, cit. in György Lukács, postilla all’edizione italiana di Lenin. Studie über den Zysammenhang seiner Gedanken, Neuwied und Berlin, Hermann Luchterhand Verlag GmbH, 1967, tr. it. Lenin. Unità e coerenza del suo pensiero, di Guido D. Neri, Torino, Einaudi, 1970, p. 119.
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