Morto un Papa

Piazza San Pietro

Silvia Garambois, collega e amica e forse parente, ha diffuso ieri la notizia della morte di Alceste Santini, a lungo vaticanista de l’Unità e probabilmente longa manus di Enrico Berlinguer nelle segrete stanze vaticane. Tutti i colleghi intervenuti sulle pagine di Facebook di Silvia – Antonio Cipriani, Monica Ricci Sargentini, Marco Sappino, Nicola Fano, Emanuela Risari, Giancarlo Summa, Anna Tarquini, Bruno Ugolini, Matilde Passa, Omero Ciai, Toni Fontana, Natalia Lombardo, Fabrizio Roncone – ne hanno sottolineato le doti umane prima ancora che professionali, e aggiunte a queste quelle politiche o “diplomatiche”. Si potrebbe insomma sospettare – e lo dico con ammirazione, rispetto e riconoscenza e sia chiaro senza alcun intento offensivo o denigratorio – che Alceste fosse quasi, oltre a una gran brava persona e a un collega stimabile, un buon agente dei servizi segreti.

I due mestieri, quello del giornalista e quello dell’agente segreto, vanno male d’accordo. Da una delle due parti si tradisce e prevalentemente è quella della testata, della fiducia del proprio direttore, ma, più che altro, della stima dei propri lettori. Certo, fare il giornalista comporta qualche scambio di favori: bazzicavo poliziotti, magistrati, spacciatori di droga per avere notizie quando l’eroina negli anni Ottanta falcidiava. E ho conosciuto, sul mio cammino, direttamente o indirettamente, colleghi che hanno fatto il grande salto.

È così ancor oggi in molti giornali, e a quanto ne so anche in quello dove ho lavorato per tanti anni. La qual cosa non mi piace affatto. Anche per ciò, onorando Alceste, ho scritto che, pur non avendolo conosciuto personalmente, «lo ricordo come una di quelle firme che ti rendevano orgoglioso di lavorare in quel giornale. E di non lavorarci più».

Se poi è vero quel che mi raccontano alcuni colleghi, che il trattamento economico dei redattori o dei capiservizio è differenziato a seconda della testata di provenienza e che ad alcuni si chiede l’adesione a contratti di solidarietà mentre ad altri si danno incentivi e prebende, il mio distacco è sempre più forte e mi verrebbe da chiedere la soppressione della scritta «Giornale fondato da Antonio Gramsci» da sotto la testata: si rigirerebbe nella fossa.

La disattenzione, la superficialità, l’ignavia di alcuni dei contatti – sia chiaro non tutti – che ho ancora in quella testata dà il colpo di grazia, così come il fatto che pochi giorni fa, per vie traverse e indirette, il direttore abbia chiesto a me, senza il coraggio di chiamarmi personalmente e bypassando la redazione fiorentina, maggiori informazioni sulla massoneria in Toscana.

Un tempo questa esperienza – quella di Vladimiro Settimelli, di Giorgio Sgherri, di Bruno Schacherl, di Antonio Zollo e Morena Pivetti, per citarne solo qualcuno – era il patrimonio de l’Unità. Ma oggi i tempi sono cambiati. È morto il re, viva il re.

Ma ora è Alceste che non c’è più. E in questo caso, morto un Papa, non se ne fa un’altro.

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