Gian Luca e le lucciole

Carl Gustav Jung

Gian Luca è il mio migliore amico. Da almeno quarant’anni. Può dirmi quello che vuole, sto ad ascoltarlo. E mi lascia libero di dire quello che voglio. Possiamo non essere d’accordo, ma ci vogliamo bene. Qualche sera fa, al fresco, dinanzi alle prime lucciole della sera, mi ha chiesto a cosa sia servito, a me e ad altri che hanno intrapreso un percorso psicanalitico, se poi, dinanzi ad alcune situazioni, abbiamo reagito in modo simile a quello di tanti che quella strada non hanno intrapreso.

Gli ho risposto per me, non per altri. Che io quella strada l’ho percorsa e son contento di averla battuta. Che m’è costata e non tutto mi porto appresso nello zaino. Che però, benché non ne possa essere certo, non sarei stato lì con lui a parlare quella sera dinanzi alle lucciole se non avessi fatto anche quella strada. Forse non ci sarei proprio potuto arrivare. Ognuno si cura come può. Anzi, ognuno vive come può. Come meglio sa. E non c’è un modo migliore d’un altro. Solo il proprio. Si possono fare molti sbagli, direi che ognuno li fa. Averne consapevolezza, riuscire a guardarli, per quanto magra sia, è pur sempre una consolazione o un modo più pieno di star su questo pianeta.

Non credo di aver incrinato un certo scetticismo di Gian Luca su quest’argomento, né questo era il mio obiettivo. Volevo solo rispondergli e dargli il mio punto di vista, dal momento che me l’aveva chiesto. E credo che a lui sia andato bene così. Abbiamo continuato a guardare le lucciole e il loro brillante ma tenue chiarore nella notte.

Ripenso a persone che hanno fatto quell’analoga strada, anche a qualcuna le cui follie mi lasciano di stucco. E penso che quelle follie, o quei loro placamenti, o quella sopravvivenza talvolta così duratura, siano la strada di quelle persone: non ne è data un’altra, c’è solo quella. Le porte della metropolitana si sono aperte o chiuse ogni qual volta han dovuto farlo e quella persona ce l’ha fatta o meno a salire, a scendere, a restar imprigionata sul vagone o sulla pensilina. C’è solo da augurarsi che in qualunque di questi quattro casi, si sia resa conto di dov’è.

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