Un articolo per Politica e società

di Daniele Pugliese

Ilvo Diamanti

Ilvo Diamanti

Su La Repubblica di lunedì 12 luglio 2010, Ilvo Diamanti ha presentato i risultati di un sondaggio condotto da Demos-Coop per il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari, dal titolo Il lessico politico degli italiani. Lo scetticismo dinanzi ai sondaggi è d’obbligo, tale è l’uso che impropriamente ne è stato fatto. E tuttavia le conclusioni a cui perviene o il disegno che traccia non sembrano discostarsi molto da quello che, con un pizzico d’ironia, mi vien da chiamare la weltanschaung del Bar sport, o se si preferisce il senso comune a cui Gramsci ci chiedeva di prestare attenzione interrogando ogni indicatore possa rivelarlo: uno spettacolo teatrale, un articolo di giornale, una moda, un malessere sociale.

Antenne che molta politica sembra aver abbassato e che, negli intendimenti almeno, stanno alla base dei promotori di Politica e società, decisi a non far di se stessi una corrente ma di suggerire riflessioni che possano tirarci fuori da un’empasse disastrosa. Chi scrive, per lo meno, la pensa così e di questi tempi pensare è già una dichiarazioni d’intenti.

La mappa presentata da Repubblica tenta di rappresentare il “lessico politico degli italiani”, ovvero le «parole che evocano i principali attori, progetti e concetti, estratte dal linguaggio pubblico e privato». I concetti racchiusi in tali parole sono stati sottoposti «al giudizio di un campione rappresentativo della popolazione italiana» in rapporto alla dimensione che «riflette il significato e il valore che assumono oggi» e a quella che sottolinea «l’importanza che assumeranno nel prossimo futuro».

Dimensione basilare quella che coniuga – altra suggestione gramsciana, seppur capovolta – «presente e futuro», perché la politica non può che stare in quel crocevia, tra l’esistenza immediata e il suo superamento. L’intento della ricerca è quello di individuare «mediante le parole, quali riferimenti oggi siano centrali e quali, invece, marginali. Quali siano destinati a perdere importanza e quali a guadagnarne. Nel linguaggio – e nella visione – delle persone».

Ho riportato il link all’articolo di Ilvo Diamanti, e penso che molti abbiano avuto modo di leggerlo su Repubblica, vedendo anche la mappa, fondamentale, che lo illustra, per cui non starò qui a sintetizzarne tutto il contenuto. Cerco semmai di mettere in maggior evidenza quello che traspare chiarissimo nel grafico e nell’articolo. Nel punto più in alto a destra, dove si incontrano le parole che hanno più importanza per il futuro e quelle più positive, cioè quelle che uno vorrebbe, si concentrano una “miglior distribuzione della ricchezza”, accompagnata però dalla necessità di avere “maggiori opportunità di lavoro” e da quella di “far pagare le tasse a tutti”.

Tralascio, per un attimo, le altre, non meno importanti, parole chiave riportate in quest’area, per rilevare che questi tre concetti sono strettamente collegati ed espressi in una maniera che rivela – e sembra strano crederlo – un fortissimo senso civico, di giustizia e di partecipazione alla vita collettiva. Non si chiede indistintamente più ricchezza, ma miglior distribuzione della ricchezza, e si vuol contribuire alla formazione di questo bene comune. Probabilmente, in qualche caso, si è anche disposti a rinunciare a un po’ del proprio benessere se questo innesca meccanismi virtuosi, maggior equità e, per questa strada, anche un allentamento dei conflitti sociali e della ragioni dell’insicurezza.

Questo, naturalmente, non è scritto nell’articolo di Diamanti, son solo riflessioni che assommano, tipo 2+2 fa 4, tre concetti che stanno uno a fianco dell’altro. E prima di toccare gli altri due che stanno in questa zona, merita rilevare che se la politica, in qualunque sua forma, è ai minimi storici, nel quadrante del meno importante per il futuro e del maggiormente negativo, le Istituzioni, chi le rappresenta, il legame col territorio – non solo quello sotto casa, ma addirittura l’appartenenza all’Europa – sono invece in posizione diametralmente opposta, a confermare quella sensazione di eticità, appartenenza ed equità a cui si accennava precdentemente.

Le altre due parole chiave dell’Olimpo semantico italiano sono il rispetto dell’ambiente e della natura, ed anche questo è un senso di grande consapevolezza e, addirittura, di impegno per le generazioni a venire; e la libertà di informazione, che forse potrebbe essere letta non solo come la fine dei bavagli e delle veline, ma anche come uno spasmodico bisogno di capire di più e meglio, cioè di aver più strumenti per interpretare, un’altra voglia di consapevolezza.

Rilevo una sola contraddizione concettuale in questo lemmario, ma forse è frutto di una mia errata comprensione o di un qualche mio pregiudizio: la congiunzione, sempre nella fascia medio-alta della mappa, di “più spazio alla concorrenza e al merito”, dove a me pare che la prima, la concorrenza, sia spesso proprio la morte del secondo, il merito, perché i prezzi stracciati, il ribasso, la cashba, son diventati uno sport che ci sta portando alla rovina e fa emigrare giustamente all’estero tutte le nostre risorse migliori.

Ma quel che più mi preme sottolineare nell’articolo di Diamanti e nel sondaggio di Repubblica è che le parole, dietro le quali ci hanno insegnato c’è sempre un significato, un concetto, anche se in tv assomigliano sempre più a grida informi tese solo a soverchiare altre grida e comunque a privare chi ascolta di qualunque senso, hanno ancora un senso, e se si riesce a formularle, a trovarne di condivise, soprattutto ad ascoltarle, e a dar loro uno spessore, una dimensione, un percorso temporale, dal presente al futuro, costituiscono ancora un collante, un legame, anzi, l’unica possibilità che abbiamo di sentirci ancora una comunità coesa da qualcosa di comune.

Spesso si è accusato la politica di dir solo parole, e di non aver fatto seguire a queste i fatti. Oggi il problema è più drammatico. È l’assenza di parole, o meglio dei concetti che stanno loro dietro, di ideali – non dico ideologie, dico ideali – che le tengano unite le une alle altre in un ragionamento che non può essere fatto di monosillabe o di dichiarazioni alla giornata. E poi, un attimo dopo, l’azione, il gesto, l’attività, il fatto.

Credo che la politica, almeno quella di sinistra, potrebbe ripartire da qui: dal suo volersi misurare con la società e con il suo lessico.

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