Patti Smith after 30
Questo il testo originale dell’articolo pubblicato da “Il Manifesto”, edizione di Firenze, il 13 settembre 2009, dopo il concerto di Patti Smith, 30 anni dopo.
Giovedì prossimo Firenze ospita, in piazza Santa Croce, un concerto di Patty Smith, a 30 anni di distanza da quello che la rock star americana tenne, nell’ambito della festa dell’Unità, allo stadio Artemio Franchi.
Gabriele Capelli, leggendario ed indimenticabile caporedattore dell’Unità di Firenze, mi spedì lì, insieme ad altri colleghi, a scrivere del concerto benché fosse solo da un anno che collaboravo, senza dignità di firma, al giornale: tuttavia ero un “figgicciotto” “fricchettone” e questo era un buon motivo per farmi scrivere.
Ma questo non interessa nessuno. Val invece la pena ricordare che prima e dopo il concerto – vennero in 70 mila ad ascoltarlo e altrettanti erano stati il giorno prima a Bologna – la città si divise furibondamente, ed oltre la sua genetica contrapposizione fra guelfi e ghibellini, sull’opportunità o meno di ospitare un concerto rock, di essere “invasa” dai giovani, di concedere per un uso improprio lo stadio di calcio.
Il quotidiano locale “La Nazione” primeggiò nel tirar la volata alla campagna terroristica: distruggeranno tutto, la Fiorentina non potrà più giocare, i nostri figli saranno perduti!
Mario Spezi – il cronista poi invischiato nei post-tormentoni del Mostro di Firenze – titolò il giorno dopo la performance: «Lo stadio sembra in coma». Definiva la voglia di ascoltare quella musica una «malattia» dandogli il nome di «Pattismittomania» e chi l’aveva «fans del “microfono di satana”». Scrisse che gli spazzini che ripulirono il manto erboso dalle cartacce al loro ingresso «hanno rischiato l’infarto».
Citò l’Ansa, secondo la quale furono accesi fuochi che bruciarono l’erba e pezzi di legno, furono sradicate grosse zolle e furono provocati avallamenti. La porta fu divelta e ovunque pezzi di vetro, siringhe. Addirittura l’anello di tartan per le gare di atletica – scriveva Spezi – era stato lesionato in più punti.
Poi c’erano i caselli autostradali intasati dagli «autostoppisti», la città pullulante di “fricchettoni”, «l’aspetto generale che la città ha assunto in questi ultimi tre giorni».
Solo Egisto Squarci, un altro cronista della “Nazione” che purtroppo non c’è più, bilanciò il quadro: «È la storia del mondo. Però questi ragazzi che vengono in settantamila… dicono che non vogliono seguire questa storia del mondo, che vogliono essere la nuova storia, e che sono orgogliosamente cenciosi, nomadi, ostili ai vincoli abituali della quotidianità, perché ritengono di avere la funzione di indicare un modello di comportamento che spezzi la catena delle servitù (ai due pasti giornalieri, alle abluzioni frequenti, al buon tetto che ripari, alla operosità produttiva, alla famiglia ed alle altre istituzioni che fanno una collettività organizzata».
Noi all’Unità, e dietro di noi il Partito comunista italiano, con Michele Ventura segretario di federazione se non ricordo male e sicuramente Elio Gabbuggiani sindaco della città, ci schierammo dalla parte opposta, ma da cronisti seri constatammo che i danni allo stadio erano stati lievi, la porta non era stata divelta ma smontata per far posto al palco e che la domenica successiva si sarebbe tranquillamente giocato a calcio. Facevamo parlare le persone che dovevano rimettere a posto, non solo i nostri cuori.
Gabriele scrisse: «Le sciabole dei riflettori spezzano il nero della notte nell’enorme stadio gremito. Davanti e intorno al palco selve di mani alzate si flettono ai ritmi sincopati che si riversano sulla folla accalcata sul manto erboso … tutto è “filato liscio”».
Ed io: «… anche chi ha cercato di gridare allo scandalo per troppi blue jeans tutti in una volta, per una fila di sacchi a pelo variopinti, è rimasto deluso. La città ha accolto questo mare colorato e semplice…».
Lo stesso copione Firenze l’ha vissuto nelle settimane prima del 9 novembre 2002: guerra in Afghanistan, G8 a Genova, tanti pacifisti con l’arcobaleno esposto alla finestra o appuntato sulla giacca a vento o sul trolley.
Il governatore della Toscana Claudio Martini, per il quale attualmente lavoro come direttore dell’Agenzia di informazione della Regione, volle che il Social Forum si tenesse a Firenze: racconta la storia di quei giorni nel libro Capaci di sognare, pubblicato da Baldini Castoldi Dalai. Coinvolse nel suo progetto il sindaco della città, Leonardo Domenici e l’allora prefetto di Firenze, Achille Serra.
“La Nazione”, e ancor più “Il Corriere della Sera” soprattutto in virtù della penna di Oriana Fallaci, gridarono che la città sarebbe stata messa a ferro e fuoco da quella orda di barbari che chiedevano la fine delle ostilità nel mondo e una gran bella cosa: la pace!
Anche allora «… tutto è “filato liscio”». Ma Firenze è fatta così: si scalda, si agita, si divide, si lacera, non si lascia sfuggire occasione per frenare e temere, per usare una frase cara a Michele Serra, «il nuovo che avanza». E non solo Firenze è fatta così.
Quindi l’appuntamento è giovedì sera in piazza Santa Croce. Per tutti. Per chi c’era e per chi non ha mai ascoltato «Because the night» o «Friedrich».
Daniele Pugliese
articolo Il Manifesto 13 settembre 2009
Ho deciso di far vedere un bagliore – Patti Smith
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Caro Daniele, la mamma degli imbecilli è sempre incinta. Giusto per essere banali ma fare centro in poche parole… Trent’anni fa ero piccolo per il concerto di Patty Smith e non leggevo i giornali, ma siccome ogni generazione di giovani merita di essere colpita dalla Nazione… vent’anni più tardi ricordo che aprì non con un palo divelto in uno stadio… bensì con una panchina di marmo sradicata e sullo sfondo la chiesa di Santa Croce. Forse lo ricorderai anche tu. La colpa? Di quei facinorosi no global che invasero di nuovo a migliaia la nostra città (e fu di nuovo festa!). Peccato che le panchine fossero state tolte dal comune per la normale manutenzione. A quando un manuale di giornalismo con i delitti dei giornali benpensanti? O semplicemente non sanno godersi la vita?
Buona idea il manuale di giornalismo malpensante, complimenti. O benpensante, nel senso di pensante. Mi accontenterei. Tempo fa qualcuno mi ha detto che Iacona, quello di Rai3, è un giornalista bravissimo. Io ho risposto: “No, non è vero. È semplicemente un giornalista. Il giornalismo per me si fa così. Facendo parlare le persone e raccontando i fatti. Non importa gridare o fare spettacolo”. Non era un misconoscimento della bravura di Iacona, che bravo è. Era Il memento al minimo comun denominatore della professione. Puoi apprendere la lezione dal tuo capo? Grazie. E auguri alle tue magagne. Che seguo silenziosamente.
Grazie per gli auguri. Devo dire che avendo più tempo per leggere di giornalisti “normali” ne trovo a bizzeffe… sottostimati, fuori dai riflettori, sommersi dal rumore di fondo…