Secessione fiscale

Il Belpaese

L’editoriale di Ernesto Galli Della Loggia, sul Corriere della Sera di ieri, è inquietante. Le cifre che riporta sull’evasione fiscale in Italia, già rese note da Sergio Rizzo, ci dicono come è improbabile che si possa restare a galla. E ci dicono che tale instabilità è talmente incancrenita che è sempre più difficile porvi rimedio. Non so se sian giuste le conclusioni politiche che Galli Della Loggia tira. Se davvero spetti a una destra che ha abdicato il compito di imboccare una china diversa. Ammettiamolo.

Quello che colpisce è il ragionamento sulla mancanza di senso di appartenenza della comunità degli evasori alla comunità nazionale, la loro distanza dallo Stato e dalle regole che ci consentono di stare insieme. E il fatto che questa fetta di società sia quella a rigor di logica “produttiva”.

Scrive Galli Della Loggia: se «i ricchi si sottraggono all’imposta, ciò vuol dire che di fatto, e nei fatti, essi mostrano di non riconoscersi in un’appartenenza comune. Che una parte della popolazione – e proprio quella più produttiva – non intende sottostare a quel vincolo sociale che è tale appunto perché obbliga a comportamenti che non corrispondono al proprio personale e immediato interesse. Tra questo interesse e quello generale, la stragrande maggioranza degli italiani ricchi invece non ha dubbi: sceglie senza esitare il primo e manda al diavolo il secondo».

È come se due gruppi di persone appartenessero a due paesi diversi, se gli usi e i costumi dei primi fossero incompatibili con gli usi e i costumi degli altri, se le regole, la cultura, il senso comune fossero inconciliabili.

Allora mi vien da chiedere se la secessione, lo scorporo, il divorzio sbandierato da qualche parte, non avrebbe più senso se anziché essere su base geografica, fosse su base di censo o, meglio ancora, di condivisione delle basilari norme da condividere e alle quali adeguarsi. In fondo si sostiene non del tutto a torto che l’immigrato restio a sottomettersi alle leggi del paese che lo ospita dovrebbe essere espulso non volendo rendersi partecipe della comunità che lo acccoglie. Ma la sola cittadinanza italiana non può garantire un privilegio, un’impunità, un’illegalità ad altri non consentita.

Non starei tanto a dividere, come faceva Benigni dinanzi al Giudizio Universale nella Cappella Sistina, tutti i ricchi di qua e tutti i poveri di là. Più volentieri i produttivi di qua, quelli che campano di rendita di là e al loro posto coloro che sarebbero volentieri produttivi se solo trovassero un lavoro. Più volentieri quelli col senso civico dentro, quelli che l’hanno smarrito fuori, almeno finché non l’hanno ritrovato.

È un modo per rimboccarsi le maniche, per non sottrarsi al dovere prim’ancora di pretendere il diritto, e prim’ancora di pensare che un sopruso sia un diritto.

Se poi una tale società dovesse trovarsi sguarnita di piccoli o grandi imprenditori, latifondisti, proprietari terrieri, dentisti, affittacamere: be’, ci sono le scuole per questo. Noi consumatori e ligi contribuenti sapremo aspettare.

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One Response to “Secessione fiscale”

  1. Rita scrive:

    Già un Re di Francia, Luigi non so più quale, negò diritto di voto a chi non pagava almeno una certa cifra di tasse…
    Mica sarebbe una cattiva idea….tanto più che da quando a scuola l’educazione civica è stata ribattezzata diritto siamo stati automaticamente catapultati in un mondo di soli diritti e il senso civico è rimasto a pochi.

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