Pacifismo
È una scelta molto difficile quella pacifista. Difficile ipotizzarla, sceglierla e poi praticarla. Cioè prima, durante e dopo. È distante dalla cultura dominante, quindi è sempre minoritaria. Probabilmente è distante dalla cultura dominante, dei più, della maggior parte, perché non appartiene neanche alla nostra biologia o alla nostra psicologia. Come molti animali siamo tarati per altro. Avevano ragione Konrad Lorenz, Nietzsche e Dostoevskij: la nostra anima è quella. Andare in un’altra direzione è farle violenza, un vero paradosso per il pacifismo.
È difficile perché costantemente è sfidata, provocata, sollecitata a contraddirsi. Non consiste nel porgere l’altra guancia, ma nel fermare la mano che vuole colpire, meglio se senza alzare la mano. Ci vorrebbe la forza di Joda, il vecchio saggio di Guerre stellari che solleva un’intera astronave solo col pensiero. Sì, la sua arma, se così la si può chiamare, sta nel pensiero, nella parola, nella pratica diversa: non solo la si può chiamare arma, la si deve chiamare così, a ben pensarci.
Comporta una capacità di sopportazione via via crescente. S’è detto che non consiste nel porgere l’altra guancia, ma i ceffoni bisogna saperli prendere. E bisogna sentire che fanno male e ogni volta relativizzare quel male, sminuirlo, spuntarlo, stemperarlo.
Ho scritto che non appartiene, probabilmente, alla nostra biologia e alla nostra psicologia. Non ne sono certo. Potrebbe risiedere in zone cerebrali che ancora non conosciamo e non abbiamo scoperto e che nel corso dei millenni sono state così poco sollecitate da non svilupparsi a sufficienza, da aver solo lasciato una traccia mnestica, un’intuizione, un sospetto. Zone che, se fossero allenate, riprenderebbero a funzionare, come un muscolo costretto troppo tempo all’inattività e perciò avvizzito.
Il fatto è che per svilupparsi quelle zone hanno bisogno non solo di una sorta di esercizio spirituale da praticare per lo più in assoluta solitudine, ma anche di sollecitazioni esterne che mettano alla prova la capacità di reagire secondo schemi che non siano quelli soliti ai quali ci siamo abituati, vale a dire di sollecitazioni ordinarie dinanzi alle quali innescare azioni atipiche, paradossali, folli, incomprensibili dall’interlocutore che s’attende la reazione B all’azione A. Si tratta, insomma, di sparigliare.
Se c’è bisogno di tali sollecitazioni è evidente che il pacifismo, o meglio, la vita pacifica, l’esistenza pacifica, può generarsi solo dinanzi a un conflitto ed essere essa stessa una parte di quel conflitto. Per disinnescarla, ci vuole un mina.
Non sono affatto religioso e tanto meno credente, ma mi sto convincendo con sempre maggior forza che alcuni personaggi esistiti nella storia ai quali si è finito per attribuire poteri paranormali tali da renderli agli occhi dei più divini e su di essi pertanto costruire castelli ideologico-consolatori che definiamo appunto religioni, avrebbero potuto, con i loro insegnamenti e le loro considerazioni, cambiare il corso della nostra storia, e in parte lo hanno fatto ma non nella direzione da loro tracciata.
Credo che se si riprendessero in mano le vite e gli scritti, certo di Gesù Cristo, ma di Socrate, Epicuro, Buddha, Toro Seduto e certamente molti altri, se si osasse guardar lì dentro con meno pregiudizio e soprattutto meno timori, paure, meschinità, troveremmo indicazioni che ci porterebbero altrove, che ci impedirebbero di farci da soli del male e di infliggerlo agli altri e di considerare male quello che non necessariamente lo è. Sono convinto che la testa comincerebbe a ragionare in altro modo e qualche zona del cervello finora rimasta disoccupata troverebbe finalmente lavoro e ne avrebbe di che affaticarsi.
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