Ostinazioni

Dmitrij Šostakovič

Conosco le mie ostinazioni. Anche dinanzi all’evidenza delle cose, quasi sempre, mantengo ferma la mia opinione. Vengo smentito e insisto, imperterrito. Ho avuto amare delusioni dalla politica della sinistra, sia di natura generale che particolare, riguardanti il mio emisfero e il globo nella interezza. Personali e politiche. E ciò nonostante mi resta impossibile fare il salto. Non mi è invece impossibile riconoscere dall’altra parte qualcosa che sia sensato e giustificabile e che l’ideologia non può nascondere, cancellare.

Accetto la sconfitta, ma non mi do per vinto. Prendo atto di quel che è chiaro, inequivocabile, evidente, ma non per questo baratto i miei pensieri, le mie emozioni, il mio sentire. Non è un giochino a premi con in palio qualcosa. La cosa è maledettamente più seria: essere su questo pianeta per quello che si è, non per quello che si vorrebbe che fossimo. In palio non c’è niente, oltre che se stessi.

Questo ovviamente conduce in zone grigie, ai confini, di qua dal quale c’è la realtà, di là il delirio, l’allucinazione. Come tutte le zone di frontiera è difficile starci. Si sta in bilico. Bisogna avere equilibrio. Pazienza. Un po’ di incoscienza.

Ma il punto d’osservazione è interessante. È possibile vedere di più. Farsi un’idea più ampia.

Non intendo dire che non si debba saper rivedere le proprie opinioni. La coerenza è un’idiozia quando è solo cecità. E in nome di essa si possono commettere anche crimini orrendi. Pare che Dmitrij Šostakovič abbia rinunciato a parte della propria genialità musicale in nome di un ideale al quale non è mai venuto meno, seppur questo gli sia costato un’amarezza formidabile, ma neppure al suo estro, alla sua capacità di comporre anche se non come avrebbe liberamente voluto. Non l’abiura strategica in attesa che il tempo renda giustizia, ma l’accoglimento di un’altra parte di sé.

Che si faccia l’una o l’altra scelta, quella di Šostakovič o quella di Galileo, per capirsi, bisogna in cuor proprio esser molto saldi e, appunto, non farsi piegare immediatamente da quel che succede là fuori. Sarà autistico quanto si vuole, o delirante se si preferisce, sia anche folle, ma a quel che ne so è uno dei pochi modi di stare al mondo. Tutto il resto è una camparsata, robetta da attorucoli.

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