Intorno alla sicurezza

L'eruzione di un vulcano

E se c’è un giorno, per un uomo, maschio o femmina che sia, in cui anche la cosa più semplice e banale – arrivare fino all’ufficio postale, per esempio, compilare il modulo, mettersi in coda, fare la fila, pagare il bollettino, tornare a casa – risulta impossibile da fare, di lui diremo che è inetto, incapace e l’idea che ci eravamo fatti sul suo conto o le aspettative che gli avevamo affidato, ci crolleranno d’un tratto frantumandosi come elettroni lanciati a tutta forza in un anello che lambisce il lago di Ginevra? La debolezza non è data. Non ha uno spazio suo proprio. È più minacciosa, per la propria integrità – intendo quella altrui –, di una sommossa popolare. È destabilizzante. Si può tremare dinanzi ad essa ed adottare per arginarla ogni forma di scorciatoia.

Che si tratti di un giorno, di una settimana, di un pezzo o di un’intera vita, nulla cambia. Si è fragili dinanzi alla fragilità, deboli dinanzi alla debolezza, impotenti dinanzi all’impotenza. Se traballi è bene che ti allontani, che abbandoni la casa, o la nave o il campo base. Al comandante dell’aereo è prescritta la più alta dose di cinismo: sei l’ultimo a dover morire in caso di incidente, perché sei l’unico che può salvare tutti gli altri. Puoi dunque sacrificarli e restare il salvato solo con qualche escoriazione ma con l’animo dilaniato per il resto dell’esistenza.

È un lusso che non ci si può permettere. È la contravvenzione a un patto sociale, il venirgli meno. Solo chi riesce a prendersi quest’impegno e ad onorarlo per l’intera propria esistenza può non traballare dinanzi a chi traballa e accogliere la fragilità come un fatto naturale: se il vetro casca si infrange, se il pianeta è colpito da un asteroide deflagra.

Si ha un’idea della vita come della lenta, costante, paziente costruzione di una sempre maggior sicurezza, di un tutelarsi sempre più sofisticato, quasi che si dovesse indossare una corazza sempre più spessa, più pesante, più ingombrante. La politica nasce per garantire questa sicurezza al sommo grado che le è possibile, fino al punto di negarla per chi ci vive accanto o per chi sta più sotto. Per capirsi, per neutralizzare i bravi, sterminare gli indios, impedire a questo cervello di pensare. Ma la politica non è onnipotente. Non governa l’universo o l’eruzione del vulcano o i tremori della terra o un’ischemia cerebrale. Ci prova allora la religione ma le sue sono pasticchine di menta, palliativi, pseudofarmaci.

Un bagno di natura, ci vorrebbe un bagno di natura. O, come diceva il poeta, «e il naufragar m’è dolce in questo mare».

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