Doveri mentali
C’è chi di Facebook ne fa un uso intelligente e chi lo scialacqua, invece, per inezie insignificanti a cui la posta elettronica o gli sms potrebbero tranquillamente ovviare. In particolare apprezzo chi se ne serve come di un moltiplicatore di informazioni, suggestioni, consigli e suggerimenti, come la messa a parte di contenuti che altrimenti sarebbero difficili da recuperare, che possono sfuggire, che si rischia di non vedere, non sentire, non conoscere.
Dopo un rapido scambio di auguri ferragostani, due Aficionados come Giulia Gemignani e Dino Leone, la prima via messaggio, il secondo in bacheca, richiamano rispettivamente la mia attenzione sull’ultima scena dello splendido film del 1979 di Hal Ashby, con Peter Sellers e Shirley MacLaine, Oltre il giardino, e su un articolo di Elisabetta Rasy su Simone Weil pubblicato il 13 agosto su Il Sole 24 Ore, dal titolo Senza libertà di pensiero l’uomo è perduto
In entrambi i casi potrei dire che la mia libreria si è arricchita ed ho trovato o ritrovato strumenti che possono essere o piacevoli o utili o tutte e due le cose insieme.
Risentire quella frase, «La vita è uno stato mentale», con cui termina il film mentre il grande attore inglese leggiadramente ripercorre le orme di un Gesù Cristo originario, semplice e terreno, induce più di una riflessione, non necessariamente mistica come si potrebbe facilmente credere.
Ma vorrei soffermarmi invece sul suggerimento di quell’articolo ad avvalerci del pensiero della filosofa francese «così antiaccademico e antiidelogico, così genialemente etico» come «ricostituente per la variamente debilitata Italia del nuovo secolo». Il patriottismo di cui parla Elisabetta Rasy può, a mio giudizio e non m’interessa se con evidente forzatura o violazione, essere interpretato coma una più generale appartenenza a una collettività priva di confini, lingua comune e governo legittimato, e con questa lettura fornirci un ricostituente per una debilitazione che non conosce meridiani e paralleli se non accentuandone lo sfascio in un posto piuttosto che in un altro.
Cito l’articolo del Sole 24 Ore: «La patria, scrive, può semplicemente essere definita un “dato ambiente vitale”, evitando le contraddizioni e le menzogne che corrodono il patriottismo: “Quest’ambiente esiste, e così com’è deve essere difeso come un tesoro, per il bene che ha in sé”. È necessario che la patria sia degna, sia nobile per amarla? No, risponde Simone, al contrario: può esserci un patriottismo che nasce dal più puro dei sentimenti, la compassione. Anche e soprattutto un paese in crisi, materiale e morale, com’è l’Italia contemporanea, ha dunque bisogno di amor di patria. Non eroismo, sogni di gloria, vanterie d’orgoglio, ma un amor di patria purgato di retorica: umano, terrestre, quotidiano. Che, naturalmente, solo un diffuso senso del dovere e lo splendore della verità rendono possibile».
Sì, quest’appartenenza al genere, quello umano intendo, oltrepassando i mari che ci circondano e le Alpi che ci proteggono, può ed anzi deve essere perseguita anche quando sembra non meritarlo. Ed è vero che il segreto è racchiuso nel dovere a cui ogni individuo non può sottrarsi, perché come spiega Simone Weil, «Un uomo, che fosse solo nell’universo, non avrebbe nessun diritto, ma avrebbe degli obblighi». Essi, infatti, «cioè i doveri che precedono i diritti, nascono dalle necessità degli uomini, quelle palesi del corpo e quelle non meno importanti dell’anima, che attengono al “destino eterno dell’essere umano”».
Tags: Dino Leone, diritti, doveri, Elisabetta Rasy, Facebook, Giulia Gemignani, Il Sole 24 Ore, libertà, pensiero, Peter Sellers, Simone Weil