Andrea Guermandi

Al direttore del Corriere

14 ottobre 2015

Luciano Fontana

Al direttore del Corriere della Sera
Luciano Fontana

Caro Luciano,
conosco, come ho avuto occasione di dirti in faccia alla manifestazione della Manifattura Sigaro Toscano che si è tenuta il 3 ottobre 2012 – quando Toni Servillo, già nei panni di quel maleducato di Jep Gambardella, lesse un testo scritto da me senza nemmen citare l’autore – quanto poco ti garbi il garbo, perché alla gentile lettera che ti avevo scritto qualche mese prima, il 17 agosto, per chiederti una mano, essendo da un pezzo disoccupato e sul punto di non aver alcun mezzo di sostentamento, nemmeno ti eri preso la briga di rispondere “Scusa Daniele, non posso”.

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Il tam tam per Geronimo

27 marzo 2015

Com’è lontano quel 7 maggio 2010 quando accesi un fuoco e, sventolando maldestramente una coperta come ancora non avevo imparato bene a fare, levai in cielo segnali di fumo tentando di chiamare a raccolta La tribù di Geronimo. Così si intitolava uno dei primi post pubblicati in questo blog, con cui annunciavo che di lì a qualche giorno i pellerossa che avevano scorrazzato nella prateria de l’Unità si sarebbero ritrovati per festeggiare un gran capo indiano in procinto di compiere 90 anni.

Bruno Schacerl

Quel leggendario guerriero, Geronimo, in realtà si chiamava Bruno Schacherl e per rendergli i dovuti onori si spinsero fin qui, in una storica casa del popolo fiorentina, due direttore del quotidiano comunista del calibro di Emanuele Macaluso e, soprattutto – lucidissima mente che testimonia quanto sia stolto chi vuol rottamare gli anziani – Alfredo Reichlin. Quest’ultimo è stato senz’altro quello che ha firmato la mia lettera di assunzione, essendo stato al timone del giornale fondato da Antonio Gramsci dal 1977 al 1981, quando appunto ebbi la fortuna di iniziare a lavorare lì; l’altro, Macaluso, deve avermi invece promosso caposervizio avendo diretto l’organo del Partito comunista, dopo l’infelice parentesi di Claudio Petruccioli con lo scivolone del caso Cirillo, dal 1982 al 1986.

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Alfiere nero in D4: matto

17 febbraio 2015

Fahim Mohamad

Su la Repubblica di ieri, Anais Ginori raccontava la storia del “piccolo genio degli scacchi” del quale avevo scritto qui il 2 agosto 2012 con il titolo Fahim muove ed è matto dopo che in una rivista, pur apprezzando l’articolo spedito nel disperato tentativo di racimolare del reddito, lo avevano rifiutato.

Quel “rifiuto” è stato compensato dai commenti lasciati nel blog da Andrea Guermandi e da Rita Martinelli.

La cosa bella, oltre alla cittadinanza conquistata da Fahim e all’Immortale che anch’egli probabilmente avrà vinto, è che ora è uscita presso Bompiani l’autobiografia di Fahim Mohammad intitolata Un re clandestino e, pare, da esso ne verrà tratto un film. Auguri ragazzo.

Hanno ammazzato Pablo

30 luglio 2014

La prima pagina de l'Unità di oggi

«Hanno ucciso l’Unità », titola l’Unità nel giorno in cui giunge la notizia che hanno ucciso l’Unità. L’Unità e con lei i colleghi che ci lavoravano. Quelli che c’erano quando c’ero anch’io.

Quelli rientrati dispiaciuti che con loro non ci fossimo più Antonio Zollo, Morena Pivetti, Andrea Guermandi, Dario Guidi, Serena Bersani, per citare quelli con cui sono rimasto maggiormente legato e in contatto e dei quali, o meglio della cui professionalità, ho una stima immensa.

Quelli rientrati contenti che qualcuno di noi fosse stato fatto fuori e, insomma, il nostro esser sommersi, fosse il loro esser salvati.

E poi quelli giunti dopo, portati da Padellaro, da Colombo, da Conchita De Gregorio o anche, diciamolo, da questo o quel segretario succedutosi alla guida di quella roba che oggi si chiama Pd, governa l’Italia e, com’è già avvenuto, quando è giunto alla mèta si scorda, dimentica, preferisce altro, tira fuori il peggio del proprio cinismo e della propria poca lungimiranza.

I pochi regolarizzati e i tanti tenuti a bagno maria, collaboratori in eterno, precari a vita, 1 euro a pezzo se va bene, firme mai lette prima.

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Gli inamovibili di Romagnoli

8 marzo 2014

Gabriele Romagnoli

Dice Andrea Guermandi (qui) che la scrittura che ama è quella di Gabriele Romagnoli e la mia. E la cosa a me fa un certo effetto perché Romagnoli è, se non il, uno dei miei giornalisti preferiti. Ed ancor più un certo effetto me lo fa oggi che su Repubblica, alle pagine 56 e 57, leggo un articolo di Gabriele Romagnoli intitolato L’ultimo giapponese che, a distanza di poche settimane, torna su un argomento – un personaggio divenuto, come dice Romagnoli stesso, “una categoria dello spirito” – del quale avevo trattato nel mio blog il 18 gennaio scorso, in un post dal titolo L’ultimo samurai.

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Gli amarcord di Andrea

24 febbraio 2014

Andrea Guermandi, qualche anno fa

Quanto bene io voglia a Andrea Guermandi è noto a chi mi conosce o a chi ha seguito con dovizia il mio blog, perché ne ho scritto certo più di una volta. Ora torno a parlar di lui perché mi ha mandato un dattiloscritto che se io fossi un editore, e meglio ancora l’editore de l’Unità, non esiterei a mandare rapidamente alle stampe, supponendo ci sia ancora qualcuno in giro per il mondo disposto a versar qualche moneta pur di legger delle cose scritte bene.

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L’errore di Veltroni

25 dicembre 2013

Walter Veltroni

Su Il Fatto Quotidiano, del 21 dicembre Andrea Scanzi ha intervistato Walter Veltroni (Certo. La politica è una missione laica, nobilissima. Che Berlinguer ha perfettamente incarnato) e la notizia, in altre parole la ragione per cui l’intervista è stata fatta, è contenuta alla fine del cappello iniziale e nella prima risposta: l’ex direttore de l’Unità, vicepremier, sindaco di Roma, segretario del Pd sta per terminare un film dedicato a Berlinguer.

«Si intitolerà Quando c’era Berlinguer – dice Veltroni – e ha tre piani narrativi: immagini di repertorio anche inedite; interviste; e riprese da me effettuate, però senza attori. Non so se uscirà anche al cinema, di sicuro verrà trasmesso a giugno da Sky per il trentennale della scomparsa».

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Cedo biblioteca

30 maggio 2013

Andrea Guermandi con suo figlio Tommaso

L’11 aprile scorso Andrea Guermandi, una delle migliori penne di cui disponga il giornalismo italiano – ripeto: di cui disponga il giornalismo italiano –, ha scritto nel suo blog un post che si intitola Povertà dietro l’angolo.  Oggi su Facebook ha aggiunto una breve nota con la rivelazione:  «ciao a tutti: domani termino la mia consulenza con goodlink. un’esperienza bellissima durata quasi tre anni che mi ha fatto conoscere un sacco di persone interessanti e colleghe e colleghi meravigliosi. resto nel campo della comunicazione da solo. se mi volete contattare non usate più l’indirizzo a.guermandi@goodlink.it ma a.guermandi@libero.it. ho anche un mio sito www.andreaguermandi.com e il telefono è sempre quello. sentiamoci».

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Il mio amico Andrea

22 novembre 2012

Andrea Guermandi

La prima volta in vita mia che ho parlato con Andrea Guermandi credo di averlo mandato a fare in culo. Ne sono quasi certo. S’era preso l’arbitrio di andare a intervistare Francesco Guccini, così come, con una certa frequenza, raccoglieva i pensieri di Lucio Dalla, Tonino Guerra, Roberto Roversi e chissà quanti altri. Belle interviste, per carità!, messe giustamente in bella evidenza nelle pagine degli spettacoli de l’Unità, giornale per il quale lavoravamo tutti e due all’incirca dallo stesso anno, lui a Bologna ed io a Firenze.

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Addio al poeta

15 settembre 2012

E poi arrivano quelle notizie che non vorresti mai leggere (o scrivere, se fai il mestiere mio di prima) e che, con altrettanta forza, sai invece giungeranno, non potrai scansarle, ti cascheranno un mattino tra capo e collo. Così la riporta Repubblica: È morto Roberto Roversi. Bologna perde il suo poeta. E così l’UnitàMorto il poeta Roberto Roversi. Dalla Resistenza a Lucio Dalla.

Roberto Roversi

Se fossi stato ancora in redazione in via Barberia dove l’ho conosciuto, avrei dovuto dire ai miei colleghi, a Andrea Guermandi, a Sandro Alvisi, a Jenner Meletti, «pensateci voi, io oggi non posso». Perché quell’uomo, che ho conosciuto poco, sono andato qualche volta a trovare alla libreria Palmaverde in via de’ Poeti, e non ricordo più se ci davamo del tu o del lei, ma penso del tu, perché lui si sentiva di appartenere alla tradizione di cui l’Unità, allora, era ancora l’espressione, ed io quella tradizione, anche solo formalmente, rappresentavo. Perché quell’uomo – a cui chiesi di scrivere in cronaca locale, da editorialista più che da poeta, da appassionato civile più che da colto, da sentito cittadino più che da sognatore, “sminuendo” la sua grandezza che era (ed è) un bene nazionale da pagine nazionali – mi colpì e mi sembrava che ci conoscessimo da sempre e da sempre ci fossimo scambiati sincere opinioni, talvolta già con un po’ di amarezza, ma entrambi convinti che bisogna pensare, sentire ed essere, non appiattirsi sul banale, sullo scontato, sul luogo comune.

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Ricordi bolognesi (amarcord?)

1 marzo 2012

Roberto Roversi

Lucio Dalla

Negli anni in cui sono stato a Bologna a dirigere l’Unità vedevo spesso Lucio Dalla nei pressi di via Farini. La redazione era ancora lì accanto, in via Barberia, sede storica del Pci, prima che venisse venduta e la perdita non è solo affettiva. A differenza di Francesco Guccini ed altri artisti che di quella città hanno fatto qualcosa di speciale, non mi sembra che Dalla sia mai venuto a trovarci in redazione: io non ne ho ricordo, almeno.

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Sbrisolarsi

8 novembre 2010

La sbrisolona

Prescrive lei: per una teglia di 35 per 40, 375 grammi di farina bianca, 225 di farina gialla grossa e fine, 300 di burro morbido, 150 di zucchero semolato, 60/70 grammi di uvetta tenuta in acqua tiepida, 3 tuorli, un pizzico di sale-vaniglia.

Lei è Barbara Zattoni, chef di Pane e vino, che, scusate la rima, è un ottimo ristorante fiorentino. Spiega Barbara: «La qualità delle farine è primaria, a voi la scelta, io uso per la gialla quella che prendo a Montemignaio e a Cetica… ma comunque avrete le vostre “fonti”. Si impastano gli ingredienti tutti insieme, meno l’uvetta che strizzerete e aggiungerete quasi alla fine. Non va lavorato molto, deve rimanere una consistenza non troppo omogenea, ruvida e granellosa e nello stesso modo va stesa nella teglia imburrata e infarinata. Spianatela con il palmo della mano ad uno spessore di circa 1+1/2 cm e infornate per 25 minuti a 160°».

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