Entrare in un libro
29 ottobre 2012
Ci sono libri nei quali non è facile entrare. Oppongono una sorta di resistenza, quasi chiedendo al lettore di superare una prova per essere degno di proseguire. Qualsiasi editore direbbe che questo è un grave errore, che l’incipit dev’essere accattivante e seducente, questa è una regola come un articolo di giornale deve avere un attacco brillante e che condensi anche la norma delle 5 w, chi, dove, quando, cosa e perché.
È vero e non si può non essere d’accordo. Ma non è sempre così e forse si dovrebbe dire che perfortuna non è sempre così.
«Signora Madre, è notte fonda, mi sono alzata e sono venuta qui a scrivervi. Tanto per cambiare, anche questa notte l’angoscia mi ha presa d’assalto. Ormai è una bestia che conosco bene, so come devo fare per non soccombere. Sono diventata un’esperta della mia disperazione».
Inizia così Stabat Mater di Tiziano Scarpa (Torino, Einaudi, 2008), e bisogna andare avanti un bel po’ – o io almeno così ho dovuto fare – per sentirsi presi, per avvertire la voglia di procedere, senza che la mente si metta a distrarsi, sopraggiungano altri pensieri, gli occhi lacrimino e diventino sintomi di una stanchezza che sfocerà in uno sbadiglio. Non che sia una brutta frase, e nemmeno quelle che le vengono dietro, la seguono, ma si stenta a essere catturati. Poi però.