Fedor Dostoevskij
28 agosto 2016
L'ingresso della "Fortezza da basso"
Nel ringraziare Enrico Zoi per l’intervista che mi ha fatto su “esserciweb” prendendo spunto dalla pubblicazione ora nel blog e poi in un e-book delle mie interviste raccolte in Appropriazione indebita, ho menzionato un certo numero di ex studenti del liceo classico Niccolò Machiavelli di Firenze che hanno poi intrapreso come me la strada del giornalismo, e nel ripescare i loro nomi nella memoria – in qualche maniera ripercorrendo i corridoi ed entrando nelle classi di quell’ex edificio militare, direi proprio una caserma con le sue camerate, nel quale ci si imbatte una volta varcato il grande portone di legno che su viale Filippo Strozzi, di fronte al Palazzo dei congressi, consente di accedere alla Fortezza da basso progettata da un pool di architetti al servizio dei Medici, tra i quali spicca Antonio da Sangallo il Giovane – ho visto decine e decine di volti proprio come in una sorta di Facebook privato, a molti dei quali associo un nome e un cognome, qualcuno di una persona a cui sono molto legato, a partire dalla mia ex moglie, ma anche altri amici ed amiche che vedo più o meno frequentemente ma sempre con il medesimo entusiasmo e sentimenti mutati sì ma non ininfluenti, e tanti altri compagni di scuola che invece restano anonimi o rarefatti o come sbiaditi, qualcuno anche svanito.
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16 agosto 2015
Kant
Voltaire
Nei commenti che ho letto durante i giorni più drammatici della crisi economico-politica greca, quando in molti si sono schierati contro il rigore tedesco o, dietro di esso, contro il tornaconto e la gelida contabilità bancaria sovranazionale, il capitalismo finanziario globalizzato, ho colto riferimenti alla storia e alle origini culturali del continente a cui abbiamo dato un parlamento con doppia sede, una parvenza di governo non democraticamente eletto ed un’incerta intelaiatura di norme e regolamenti, ma mi è sfuggito il richiamo ad un tema che per decenni, secoli anzi, ha scandito il dibattito ideologico concettuale dagli Urali alle spiagge sull’Atlantico: la contrapposizione tra Kultur e Civilisation.
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22 giugno 2015
David Grossman
Il grande David Grossman dovrebbe aver tracciato oggi al Piccolo Teatro Grassi di Milano – e la Repubblica ne dava in mattinata in anteprima un ampio estratto – l’elogio della gelosia, ignobile ma comprensibile e assai diffuso sentimento, dallo scrittore israeliano però paragonato allo stato d’animo creativo del romanziere o comunque dell’artista, perché entrambi – un Otello e un Dostoevskij qualsiasi – rapiti da un’ossessione, non così dissimili l’una dall’altra, quella che induce a pedinare il partner o a supporlo costantemente tra le braccia di un altro e dispensatore di languide occhiate a questo o a quello, ed al pari quella che il narratore riversa nelle sue pagine delirando situazioni inesistenti, inventate di sana pianta e con una cura maniacale dei dettagli sui personaggi, i loro dialoghi, le ambientazioni.
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21 luglio 2013
Hans Holbein il Giovane, Il corpo di Cristo morto nella tomba (1521)
Per gli antichi greci un individuo che non rivestisse cariche politiche, per accedere alle quali si dava per scontato fosse indispensabile avere conoscenze specifiche ed esperienza, era un idiótes. Questa parola significava “uomo privato” e con essa si differenziava un generico cittadino da uno che invece, appunto, ricoprisse o avesse ricoperto un ruolo pubblico, e perciò fosse colto, capace, esperto e preparato.
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28 luglio 2010
Joda
È una scelta molto difficile quella pacifista. Difficile ipotizzarla, sceglierla e poi praticarla. Cioè prima, durante e dopo. È distante dalla cultura dominante, quindi è sempre minoritaria. Probabilmente è distante dalla cultura dominante, dei più, della maggior parte, perché non appartiene neanche alla nostra biologia o alla nostra psicologia. Come molti animali siamo tarati per altro. Avevano ragione Konrad Lorenz, Nietzsche e Dostoevskij: la nostra anima è quella. Andare in un’altra direzione è farle violenza, un vero paradosso per il pacifismo.
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22 aprile 2010
José Saramago
Se non ricordo male è stato Luigi Albertini, mitico direttore del Corriere della Sera fra il 1900 e il 1925, quando anche in un giornale della borghesia c’era da opporsi in un qualche modo al fascismo, a dire che un giornale vive solo un giorno. Alla sua fonte abbiamo attinto tutti, o almeno coloro che ’sto mestiere l’han preso sul serio e vi hanno creduto, e la frase è più che vera, tant’è che dal giorno seguente se ne può far carta straccia o incartarci l’insalata. Ma vi son fanatici e patiti che non riescono ad adeguarsi e conservano, conservano, conservano. Ritaglio giornali, è vero, compulsivo quasi come il protagonista del mio racconto Amore in buca che si dava invece ai vocabolari.
Perciò ieri, con un giorno di ritardo, ho ripreso in mano la Repubblica di martedì 20 aprile e l’occhio mi è cascato sul colonnino di destra, la spalla si sarebbe detto un tempo, ancorché con tale parola non si sarebbe esattamente inteso il genere di articolo a cui mi sto riferendo, ma i quotidiani oggi non si fanno come ai tempi di Albertini e neppure come a quelli in cui ho studiato io, quando in prima ci stavano solo le notizie e queste raramente eran date dal pensiero (o dalla mancanza di pensiero) di un politico o del suo avversario.
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10 aprile 2010
Mi hanno segnalato questa storia raccontata da Marco Buttafuoco su l’Unità del 15 marzo 2010. Mi sembra davvero che meriti di essere letta, per come è scritta e più che altro per quest’uomo che non può non affascinare. Lunga vita a Riccardo Bertani e alla sua curiosità da Campegine.
Ritratto di Lev Nikolaevič Tolstoj di I'ja Efimovic Repin
Il contadino amante di Tolstoj
che studia gli idiomi delle steppe
di Marco Buttafuoco
l’Unità, 15 marzo 2010
Ogni, notte un uomo che ha oggi ottant’anni si alza alle tre e resta seduto ad una scrivania fino alle nove della mattina. Studia e scrive di lingue remote, elabora dizionari di sconosciuti idiomi delle steppe siberiane, racconta fiabe e tradizioni della campagna reggiana come delle grandi pianure asiatiche, traduce poemi epici di sperdute popolazioni nomadi dell’Asia centrale, redige saggi di glottologia comparata e di medicina naturale. Terminato questo lavoro, Riccardo Bertani esce dalla sua casa di Caprara, nel comune di Campegine, fra Parma e Reggio Emilia, dove vive da solo dopo la morte della madre, e attende al suo pezzo di terra, al suo allevamento di capre. (continua…)
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12 marzo 2010
A Monica, contro ogni evidenza
Si precipitò allora in un negozio di libri del centro e, con un certo stupore del commesso, ordinò due volumi di un dizionario enciclopedico della lingua italiana. Poi passò da un vecchio amico che lavorava in una tipografia e lo pregò di spaginargli quei due vocabolari. Anche l’amico, come il commesso, lo guardò con aria stupita, ma non gli fece neanche una domanda. Era basso e dall’aspetto fragile, ma sembrava un rude boscaiolo quando sfasciò le due copertine di cartoncino telato. I volumi, ancora rilegati, finirono l’uno accanto all’altro sotto una potente taglierina che non sembrò faticare molto per affondare la lama nelle oltre duemila pagine dopo che il linotipista l’ebbe allineata a pochi millimetri di distanza da dove partiva l’inchiostro.
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