La Res Publica
3 giugno 2010
Ho fatto cose belle e piacevoli, oggi, ed anche non stupide, né disimpegnate. Mi hanno procurato piacere e questo mi basta. Ma mi dispiace di non aver onorato la festa della Repubblica, quel 2 di giugno che per i più è solo l’occasione di un ponte fra una domenica e un’altra festività. Mio fratello Andrea, in veste istituzionale, l’ha omaggiata in alta uniforne. Gliene sono grato, almeno lui. A noi che non siamo muri di pietra, rammento che per quanto desueta è la rimembranza d’un giorno del 1946 in cui i nostri vecchi decisero di abbandonare il monarca e conti, vassalli e valvassori, dando vita a una Repubblica che poco dopo avrebbe avuto a suo fondamento d’esser fondata sul lavoro, sul diritto cioè, e sul dovere, di rimboccarsi le maniche.
Ci scordiamo – presi da un telefilm e da una telenovela pur mirabili visioni –, che abbiamo una storia e anche un po’ di sostanza neanche velinamente velata. S’è fatto il referendum per la Repubblica e quello per il divorzio e quello per l’aborto e quello contro il nucleare e quello contro la caccia e quello contro le leggi liberticide di Kosssiga e non è detto che abbiamo sempre votato al meglio, ma abbiano votato e detto la nostra, cioè espresso il volere popolare.