23 agosto 2016
Elvira Pajetta
La data sull’agenda del computer non riesco a trovarla. Digito nell’apposita casella contrassegnata dalla lente di ingrandimento una delle parole che potrebbero servirmi ad individuarla ed il programma si chiude “inaspettatamente”, mentre si apre una finestrella che te lo dice – come se non lo vedessi da solo – e la scritta spiega su cosa “fare clic” per scegliere fra le tre opzioni possibili. Ma non è il numero di un giorno e di un mese a fare la differenza, perché è di quel che è successo quel giorno, non di quando, che ho desiderio di scrivere.
Ricordo invece esattamente il luogo, perché ci ho a lungo vissuto in gioventù e lì risiede ancora mia madre: Scandicci. Che da quando ci vivevo io è cambiata da far paura, ed in meglio.
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30 maggio 2010
Enrico Rossi
Ho votato per Enrico Rossi alle elezioni regionali. Ne vado fiero. Posso non essere d’accordo con lui su alcune cose, ma sono di sinistra – facciamo a capirsi! – e ritengo che non esercitare il proprio diritto-dovere di elettore, caposaldo di una democrazia, sia un reato. L’appartenenza a uno Stato, cioè a una collettività, a una comunità, che si fregi di essere democratica, non un regime come c’è stato in Italia fra il 1925 e il 1945, implica poche fondamentali regole. Tutte da rispettare.
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12 maggio 2010
Alla redazione di via Barberia
Pietro Spataro, a cui Concita De Gregorio ha affidato il coordinamento delle iniziative speciali de l’Unità – in genere un ruolo per togliersi di torno qualcuno, ci son passato anch’io e conosco qualche altro collega in analoga posizione –, dovrebbe essere stato l’ideatore dei nuovi dorsi regionali del giornale fondato da Gramsci nel 1924, un tempo organo del Partito comunista italiano fin che questi non defunse. Sono dei tuorli che stanno nell’albume del giornale nazionale a cui fa da guscio la prima pagina, con gli strilli, i richiami e l’apertura, quasi sempre un’immagine e un titolo più che un testo – ah immagine, immagine!
Pietro Spataro è anche il nocciolo di un frutto che dentro quel giornale sta cercando, mi sa un po’ a fatica, di dar un po’ di spazio alla memoria, al ricordo, alla riconoscenza, alle cose come stanno non sempre e solo come uno vorrebbe che stessero o siano state. Intendo dire che Pietro è quello che dentro al giornale – non fuori come noi –, presumo per un debito di riconoscenza e senso di restituzione, sta cercando di dar fiato a una testimonianza dinanzi a un uomo che ci ha insegnato molto, che lo si abbia conosciuto personalmente o solo letto come me: Bruno Schacherl.
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