Giobbe

La politica ritrovata. XX. Tracce di rivelazione

6 dicembre 2010

XX. Tracce di rivelazione

Friedrich Nietzsche

Abbiamo fatto cenno alle riflessioni di Asor Rosa sull’Apocalissi e il destino dell’Occidente dopo la guerra del Golfo. Ci sono in quel libro argomentazioni che possono essere preziose per chi voglia tentare di dar vita a un nuovo paradigma della politica.

Già nell’introduzione ci mette dinanzi al rischio che corriamo di restare attoniti, paralizzati, inoperativi. Scrive:

Io non dico: non è più possibile operare. Io dico: non è più possibile operare, se alcune condizioni preliminari e profonde, anche pre-politiche, non sono ripensate e ricostruite[1].

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La politica ritrovata. XIX. Una proposta politica

5 dicembre 2010

Alberto Asor Rosa

XIX. Una proposta politica

Fin dalle prime righe di questo testo si è voluto evidenziare alcuni aspetti critici nei confronti del libro di Revelli, pur condividendo in pieno il fatto che sia stato scritto, le motivazioni di fondo che hanno indotto a scriverlo, gli obiettivi per cui evidentemente è stato scritto, ed anche la forza delle argomentazioni e dei materiali a cui si è attinto per scriverlo.

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La politica ritrovata. XVI. Leggi, diritti, giustizia

2 dicembre 2010

XVI. Leggi, diritti, giustizia

Si è qui parlato di “prezzo giusto”. E sul tema della giustizia merita forse spendere qualche parola. Ad essa dedica alcune pagine anche Revelli, mettendo a confronto la politica degli antichi e quella dei moderni, la giustizia appunto e la forza. Revelli cita il celebre ed attualissimo brano del De civitate dei di sant’ Agostino:

Socrate

Senza giustizia, che cosa sarebbero in realtà i regni, se non bande di ladroni? E che cosa le bande di ladroni, se non piccoli regni? Anche una banda di ladroni è, infatti, un’associazione di uomini, nella quale c’è un capo che comanda, nella quale è riconosciuto un patto sociale e la divisione del bottino è regolata secondo convenzioni primieramente accordate. Se questa associazione di malfattori cresce fino al punto da occupare un paese e stabilisce in esso la sua propria sede, essa sottomette popoli e città e si arroga apertamente il titolo di regno, titolo che le è assegnato non dalla rinuncia alla cupidigia, ma dalla conquista dell’impunità.

Sant'Agostino

Intelligente e verace fu, perciò, la risposta data ad Alessandro il Grande da un pirata che era caduto in suo potere. Avendogli chiesto il re per quale motivo infestasse il mare, con audace libertà, il pirata rispose: «Per lo stesso motivo per cui tu infesti la terra; ma poiché io lo faccio con un piccolo naviglio sono chiamato pirata, perché tu lo fai con una grande flotta, sei chiamato imperatore»[1].

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La politica ritrovata. XIV. Verso un nuovo paradigma

30 novembre 2010

XIV. Verso un nuovo paradigma

Elie Wiesel

Revelli, dunque, auspica – o sollecita o pretende o invoca, quasi supplica – ma non elabora, non propone un «nuovo paradigma [...] per una politica dell’“al di là”»[1].

Mette infatti in guardia dalle minacce che si addensano sulla politica «se non si riuscirà a elaborare in fretta, per lo meno un abbozzo, di “nuovo paradigma” [...] che sappia misurarsi in forma meno distruttiva del passato – nel nuovo spazio che siamo chiamati ad abitare – con la questione esplosiva del Male [... ed elaborare] un’inedita teodicea all’altezza della sfida (disumana) dei tempi»[2].

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La politica ritrovata. XII. La fine della Storia

28 novembre 2010

Ernesto Balducci

XII. La fine della Storia

La possibilità di un’inversione di tendenza e di imboccare un’altra strada – che non faccia piazza pulita di tutto quello che abbiamo avuto finora, ma di parecchio sì – sarebbe molto favorita dal comprendere che Cernobyl è l’esempio più tipico di quell’insicurezza causata non dalla natura, ma dalla tecnologia, cioè dall’uomo.

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La politica ritrovata. III. L’ingombrante presenza di Dio

19 novembre 2010

Hans Jonas

III. L’ingombrante presenza di Dio

Un’altra critica di fondo da fare al libro di Revelli è che in esso vi è un eccesso, se così lo si può chiamare, di attenzione al ruolo del religioso, malgrado proprio questa sia la forza del libro, soprattutto nella parte storica, ma anche nell’osservazione degli accadimenti più vicini ai giorni nostri.

Revelli giustamente ci dice che il Libro di Giobbe è il «trattato originario sulla questione del male», il promemoria individuale e storico del dolore e della sofferenza dell’innocente, il libro della prova dell’uomo e dell’assenza di Dio[1].

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La politica ritrovata. II. La molla della politica

18 novembre 2010

Giobbe

II. La molla della politica

È vero che la molla che muove l’uomo verso la politica è, come sostiene Revelli, la sofferenza di Giobbe, il torto subito, l’ingiustizia patita da una vittima per mano di chi non avrebbe proprio dovuto esserci nemico e di chi detiene un potere così enorme su di noi?

È vero, ma solo parzialmente. Innanzitutto dobbiamo sbarazzarci di un equivoco. Giobbe se la vede con Dio; gli uomini, dinanzi alla politica, con altri uomini. Di poi è vero, e nemmeno interamente, per le classi subalterne, per le vittime dell’ingiustizia. Anche fra gli umili c’è chi non reagisce, chi non sente l’impulso della molla. Anche fra i sudditi vessati dal potere c’è chi sbotta non per sé, ma per i propri simili. Anche nel proletariato c’è chi comincia a darsi da fare non per eliminare le classi, ma per risalire la scala sociale.

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La politica ritrovata. I. Ripensare la politica

17 novembre 2010

Marco Revelli

i. Ripensare la politica

In sole 137 pagine, Marco Revelli fa uno sforzo veramente notevole: quello di ricostruire i punti cardine del pensare e dell’agire politico nel corso della storia, da Platone ai giorni nostri, e di suggerirci, quindi, in questa epoca di grande sconcerto e desolazione, una via d’uscita per il futuro.

La politica perduta[1] non è un libro di storia delle dottrine politiche; né un pamphlet agitatorio per una nuova formazione politica alla ricerca di autorevoli referenze teoriche; né, infine, un saggio gelido e accademico per sfoggiare un po’ di erudizione. C’è qualcosa di tutto questo: lo sguardo d’insieme e la capacità sintetica; il pathos di chi si sente nella mischia e si rende conto che i tempi che corrono, quelli di breve e di lungo periodo, promettono poco di buono e urge fare qualcosa; una considerevole conoscenza delle idee a nostra disposizione e dell’evoluzione che esse hanno avuto, accompagnata dalla consapevolezza dei limiti di quei vecchi strumenti e degli argomenti a favore o contro di essi; le coordinate concettuali di riferimento, in particolare quelle figure mitiche che, espresse nel pensiero religioso, costituiscono i cardini o il substrato su cui si fondano le costruzioni politiche.

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La dignità della rivoluzione

18 luglio 2010

Gregory Bateson

Qualche sera fa – ne ho già scritto –, alla festa dell’Unità di Montale – si chiama festa del Pd, ma ci comprendiamo meglio se uso quest’espressione, benché il giornale fondato da Gramsci non sia più quello che è stato per lungo tempo – alla festa di Montale, dicevo, la presentazione del mio libro ha finito per essere un confronto a più voci sull’idea che si ha della morte – la non più esistenza – e su un quesito vecchio come Giobbe, non espresso come lo sto facendo io ora, ma sintetizzabile in questo modo: si deve modificare l’uomo o si deve modificare il mondo?

Ho sostanzialmente sostenuto che se non  ci si presenta al mondo con l’intera propria esistenza – bella, brutta, grande o misera che sia –, cioè se in qualche modo non si cambia tirando fuori tutto quel che siamo e non solo quello che gli altri si attendono, anche il mondo finisce per avere un’esistenza solo apparente e, perciò, immodificabile.

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