In un sensato saggio pubblicato nel 1971 nella raccolta Verso un’ecologia della mente, l’impareggiabile antropologo e linguista Gregory Bateson – artefice della teoria del “doppio legame” – sostiene che da sobrio l’alcolizzato è «più sensato delle persone che lo circondano». Scavando tra le pagine di scrittori e filosofi – da Socrate a Leopardi, da Tolstòj a Montaigne – un alcolista sobrio va alla caccia di senso e logica, ricordandosi delle proprie compulsive passioni e delle emozioni che accomunano i seguaci di John Barlecorn e quanti riescono, invece, a non alzare il gomito. Se il primo passo è aver consapevolezza di quanto si sta bevendo, in queste pagine si incontra il cammino di chi beve e di quanti lo circondano. LEGGI DI PIÙ
La biografia di Primo Levi scritta da una persona che ha amato lo scrittore amando chi l’ha amato e gliel’ha fatto amare: perciò è «appassionata». In dodici condensati capitoli Questo è un uomo testimonia il valore del pensiero e della narrativa del prigioniero 174517 nel Lager di Auschwitz, insieme al debito personale dell’autore nei confronti di un maestro. LEGGI DI PIÙ
Il primo libro pubblicato dalla casa editrice TESSERE è Appropriazione indebita, una raccolta di trenta interviste realizzate per l’Unità da Daniele Pugliese fra il 1982 e il 1992 a filosofi, scienziati, intellettuali che hanno lasciato un grande contributo alla cultura e dalle cui parole ancor oggi è possibile trarre importanti suggerimenti per aprire i propri orizzonti e spalancare la propria mente. LEGGI DI PIÙ
Apocalisse,
il giorno dopo.
La fine del mondo fra deliri e lucidità
Pubblicato nella «collana coordinate» della casa editrice Baskerville di Bologna. Il libro, dalle ore 24 del 21.12.2012 e fino all’uscita del volume di carta è disponibile e scaricabile gratuitamente in formato ebook dal sito della casa editrice.LEGGI DI PIÙ
Pubblicato nella «collana I venticinque» della casa editrice italo-francese Portaparole di Roma ed è acquistabile in libreria oppure online. LEGGI DI PIÙ
Pubblicato nella «collana blu» della casa editrice Baskerville di Bologna, che annovera in catalogo autori quali Pier Vittorio Tondelli, Fernando Pessoa, Georges Perec ed è acquistabile in libreria oppure online.LEGGI DI PIÙ
Oltre all’intervista impossibile a “L’uomo di Neanderthal” scritta da Italo Calvino e interpretata da Paolo Bonacelli e Vittorio Sermonti che ho proposto nel post Calvino intervista l’antenato, che io suggerisco di leggere mettendola in relazione a quanto ho scritto prima in La lezione di Ötzi e poi in Ötzi è una persona civile, nell’ambito degli articoli scritti facendosi aiutare dalla fantasia e dallo studio di cui riferisco in Immaginazione al potere, ai ragazzi della terza media della Scuola Alessandro Volta di Inveruno che hanno ascoltato la mia lezione di intervista, ma anche a chiunque ne abbia voglia, va aggiunta questa intervista impossibile a Glenn Gould pubblicata nel magazine “Words in freedom”.
Qualche giorno fa, il 19 settembre, era il trentunesimo anniversario della morte di Italo Calvino e Maddalena Dalla Torre – che premurosamente e con costanza mi inonda di suggestioni e stimoli all’ascolto, alla lettura e alla visione – mi ha mandato il link a un’intervista pubblicata su Rai News l’anno prima, in occasione del trentennale.
Mentre stavo scrivendo un articolo che pubblicherò nei prossimi giorni intorno alla figura di Italo Calvino, ieri ascoltavo a Radio 3 Peppe Servillo leggere brani delle visibilissime Città invisibili dal palco della festa dell’emittente culturale della Rai che, con il pensiero rivolto ai terremotati, fino a domani si svolge a Matera avendo come tema intorno al quale ruotano gli eventi le utopie e le distopie, e prima di sentire quelle concise, accurate geografie metropolitane fantastiche, avevo sentito ospiti della trasmissione ricordare che in questo 2016 ricorrono i 500 anni dell’Utopia di Tommaso Moro, il testo che ha introdotto questo concetto – quantunque i “non-luoghi” esistano fin dall’antichità, ne è piena la mitologia e l’epica greca, ma che altro è l’Atlantide di Platone? – ed i rimandi che da questa parola giungono ad Adriano Olivetti, personaggio a cui sto prestando sempre maggior attenzione.
Ascolto tutto questo e mi sovviene che il titolo originale dell’intervista contenuta in Appropriazione indebita nella quale Eugenio Garin storceva il naso all’ipotesi di affossare, con il nome del Pci, la molla che fa desiderare di non aspettare il paradiso nell’al di là e di avere dei valori in cui credere era proprio Ma un’utopia deve restare, e che anche un intero capitolo, il nono per la precisione, del mio Apocalisse, il giorno dopo. La fine del mondo fra deliri e lucidità, pubblicato da Baskerville nel 2012, tratta proprio il medesimo argomento.
In Casentino, per l’esattezza nel comune di Pratovecchio, c’è un castello, quello di Romena, di cui si parla nel canto XXX dell’Inferno.
L’accenno alla fortificazione Dante lo affida a Maestro Adamo, ospite in quel maniero dei Conti Guidi, che ne erano i proprietari, i quali lo spingono (e lui accetta) a falsificare monete sostituendo vili metalli all’oro, in misura d’un carato ogni otto, per trarne illecito profitto, peccato per il quale vien condannato ad un’insaziabile sete:
«Ivi è Romena, là dov’io falsai
la lega suggellata del Batista;
per ch’io il corpo sù arso lasciai».
In aggiunta alle interviste impossibili che ho suggerito al termine della mia lezione ai ragazzi della scuola Manzoni di Inveruno devo assolutamente aggiungere questa di cui non ero a conoscenza e me ne ha messo a parte Maddalena Dalla Torre, che è stata scritta per la Rai niente popò di meno che da Italo Calvino, L’uomo di Neanderthal interpretata da Paolo Bonacelli e Vittorio Sermonti :
“Credo poco alle virtù del parlare francamente: molto spesso ciò vuol dire affidarsi alle abitudini più facili, alla pigrizia mentale, alla fiacchezza delle espressioni banali”.
Italo Calvino, Una pietra sopra
citato in Loredana Lipperini, Parole “tossiche” contro l’odio in rete, la Repubblica, 20 settembre 2015
Ho recentemente riletto Le città invisibili di Italo Calvino. Godendone, sia nel ri-regalarmelo che nel leggerlo a una donna, come se ogni frase pronunciata, sussurrata, sibilata, recitata o declamata, corrispondesse a un bacio sul collo o a una spinta delle reni, e immaginando verso la fine che si potrebbe riscrivere un libro pressoché identico senza plagiarne l’autore, senza sottrargli la paternità originaria e i meriti che gli spettano, anzi, rendendogli omaggio, come fossimo in un castello di destini incrociati o se una notte d’inverno un viaggiatore – io, anzi lui – avessi intrapreso, anzi avesse intrapreso, anzi avessimo intrapreso, una spedizione, la stessa di Marco Polo e con lui di Kublai Kan, cicerone uno, virgilio l’altro, infine un poeta nella sua selva oscura, fra Torino dove io sono nato e Santiago de las Vegas, dove nacque lui, o a Sanremo dov’è approdato, o a Torino dove ha preso le mosse, e là lo hanno conosciuto mia madre e mio padre, e chissà come sarebbe andata se avessi accettato quel giorno di varcare il cancello d’ingresso della pineta delle Rocchette e sentir dire ciao Italo, ti presento mio figlio, quello a cui hai regalato le fiabe russe e quelle africane e le italiane e lui sognava sul principe Ivan…
La svolta è giunta dopo pagina 57. L’inizio è stato duro. Difficile. Inaccessibile, mi verrebbe da dire, come di una materia che non si lasci penetrare e opponga resistenza. Poi mi ha preso e non riuscivo più a staccarmi. Mi sono trovato quasi a volare su quei capitoli, a saltabeccare fra i paragrafi e per quanto mi concentrassi e non perdessi il senso di nulla di quanto stavo leggendo, era come se lo sfogliassi, rapido, veloce, svolazzante, comprendendo cosa appunto possono fare delle foglie rapite dal vento una volta perso il loro legame con il gambo.
Su una rivista di categoria – quella a cui spero di appartenere al più presto, o, almeno, nei tempi previsti dalla legge, ovvero sia la rivista dei giornalisti pensionati – Mario Talli, stimato collega che ha guidato Paese Sera a Firenze negli anni in cui quel giornale era una delle migliori testate che siano mai circolate in edicola, tempo fa ha pubblicato un articolo che suppongo abbia suscitato qualche ira.
Ho letto recentemente con gran piacere Racconti matematici, una raccolta di brevi storie da Borges a Calvino, da Asimov a Buzzati, da Mc Ewan a Lem, da Huxley a Queneau, da Saramago a Musil, curata da Claudio Bartocci per Einaudi. Che la letteratura fosse in debito nei confronti della matematica mi era chiaro anche prima. Che nel magico alfabeto dei numeri si nascondano arcani dai quali se ne possono trarre splendide suggestioni e che la conoscenza delle cifre, fosse meno relegata a un ostico modo di insegnare quella disciplina, ci aiuterebbe immensamente a comprendere meglio il mondo, anche. E altrettanto che la nostra astinenza di scienza sia deleteria.
La presentazione del mio libro nel giardino del Museo ebraico di Livorno è stata, per me, un’esperienza intensa. E sono molto grato a Paola Jarach Bedarida di averla organizzata e al sindaco Alessandro Cosimi di avervi partecipato. Entrambi hanno portato una lettura molto particolare del mio libro, che non è quella che, per lo più, chi l’ha letto mi dice di avervi trovato, ma che invece a me sembra rispondente, magari più nascosta, ma pertinente. E soprattutto, i ragionamenti che sono scaturiti nelle domande di un pubblico molto attento a partire da quelle due letture, non necessariamente riferibili al libro ma ai temi che dal libro portano alle considerazioni sul presente, mi sono sembrati di grande interesse.
Pietro Spataro, a cui Concita De Gregorio ha affidato il coordinamento delle iniziative speciali de l’Unità – in genere un ruolo per togliersi di torno qualcuno, ci son passato anch’io e conosco qualche altro collega in analoga posizione –, dovrebbe essere stato l’ideatore dei nuovi dorsi regionali del giornale fondato da Gramsci nel 1924, un tempo organo del Partito comunista italiano fin che questi non defunse. Sono dei tuorli che stanno nell’albume del giornale nazionale a cui fa da guscio la prima pagina, con gli strilli, i richiami e l’apertura, quasi sempre un’immagine e un titolo più che un testo – ah immagine, immagine!
Pietro Spataro è anche il nocciolo di un frutto che dentro quel giornale sta cercando, mi sa un po’ a fatica, di dar un po’ di spazio alla memoria, al ricordo, alla riconoscenza, alle cose come stanno non sempre e solo come uno vorrebbe che stessero o siano state. Intendo dire che Pietro è quello che dentro al giornale – non fuori come noi –, presumo per un debito di riconoscenza e senso di restituzione, sta cercando di dar fiato a una testimonianza dinanzi a un uomo che ci ha insegnato molto, che lo si abbia conosciuto personalmente o solo letto come me: Bruno Schacherl.
Paolo Pietrangeli all'Istituto Ernesto de Martino a Sesto Fiorentino
L’invito me l’ha fatto Maria Valeria della Mea. Un po’ per la passione condivisa ed in entrambi i casi ereditata per la canzone popolare, di cui ho parlato in un post intitolato Grazie zii, un po’, forse, anche perché in una qualche delle nostre schizzate conversazioni le ho parlato dell’amore, o ammirazione o solo sfegatato interesse che ho avuto e conservo per Ernesto De Martino, l’autore di Furore, simbolo, valore, di Magia e civiltà e, soprattutto, di La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali, testo a partire dal quale sono scaturite le oltre 400 pagine di tesi che non ho mai consegnato a Paolo Rossi Monti per laurearmi e che ancora giacciono nel mio cassetto in attesa che un editore me le pubblichi prima del 2012, data oltre la quale qualcuno dice che il mondo non ci sarà più e «la razza è perduta».
Sono stato invitato a Torino sabato e domenica. Anna, la sorella di mio padre che suona il pianoforte, fa un compleanno. Purtroppo non ci posso andare. Troppe cose da fare e pochi soldi in tasca: un giudice ha deciso che devo tirar la cinghia e le decisioni dei giudici non si commentano, si eseguono.
Anna è stata la moglie di Pietro Buttarelli, che purtroppo non c’è più e che nel 1957 (annus horribilis), insieme a Fausto Amodei, Sergio Liberovici e Michele Straniero, dette vita a Torino al Cantacronache, gruppo di musicisti, letterati e poeti che, a giudizio di Umberto Eco, sono stati i precursori dell’esperienza dei cantautori italiani. Lo zio Pietro ha fatto l’attore di teatro credo soprattutto al Piccolo di Milano e aveva una parte, se non ricordo male, ne I promessisposi del Manzoni, uno dei primi sceneggiati andati in onda sulla Rai quando c’era ancora solo un canale, l’Uno. I testi delle loro canzoni erano firmati da Italo Calvino, Franco Fortini, Gianni Rodari, Michele Pogliotti, Emilio Jona, Giorgio De Maria, e lo stesso Umberto Eco. A cantare con lo zio in quel gruppo ci sono stati anche Edmonda Aldini, Margot, Duilio Del Prete, Franca Di Rienzo, Pietro Buttarelli, Silverio Pisu, Glauco Mauri.
La dedica di Italo Calvino a mia madre sul frontespizio dei "Racconti" (Einaudi, 1958)
In molti, l’altro giorno alla presentazione del libro, mi hanno chiesto di fare loro una dedica. L’ho fatto volentieri e cercando in ogni caso di scrivere qualcosa pertinente alla persona a cui stavo dedicando il libro. A qualcuno ho dovuto dire “poi” per non scrivere la prima banalità che mi veniva in mente o una frase fatta. Ho preso tempo. Ho sentito qualcuno dirmi di non abbondare con questa concessione: sarebbe una diminutio. Non mi sento così prezioso e trovo che il lettore vada accolto. Penso che una dedica sia diversa da un autografo. C’è il grande cantante, il grande sportivo, finanche il grande politico a cui la gente vuol strappare una firma, una personalizzazione, un pezzo di notorietà, ritagliandosi magari un istante nell’empireo o regalandosi un innocuo orgasmo di piacere. La dedica, invece, è un dialogo, l’avvio o la ripresa di un dialogo, il tassello di un puzzle, una mossa sulla scacchiera. Se impreziosisce la copia meglio.
Qualche settimana fa mia madre si è fratturata il bacino e mio padre, da cui è separata da almeno quarant’anni, così, per darle un segno di solidarietà e perché potesse ingombrare il tempo di costrizione a letto, le ha regalato un paio di libri che lui aveva trattenuto per sé per un’intera vita (continua…)
Si precipitò allora in un negozio di libri del centro e, con un certo stupore del commesso, ordinò due volumi di un dizionario enciclopedico della lingua italiana. Poi passò da un vecchio amico che lavorava in una tipografia e lo pregò di spaginargli quei due vocabolari. Anche l’amico, come il commesso, lo guardò con aria stupita, ma non gli fece neanche una domanda. Era basso e dall’aspetto fragile, ma sembrava un rude boscaiolo quando sfasciò le due copertine di cartoncino telato. I volumi, ancora rilegati, finirono l’uno accanto all’altro sotto una potente taglierina che non sembrò faticare molto per affondare la lama nelle oltre duemila pagine dopo che il linotipista l’ebbe allineata a pochi millimetri di distanza da dove partiva l’inchiostro.
Racconti di Daniele Pugliese, direttore di Toscana Notizie
Italo Calvino
(Il Sole 24 Ore Radiocor) – Milano, 01 feb – Un pizzico di Italo Calvino e delle sue descrizioni minuziose, scientifiche e graffianti. Una spruzzata di Joseph Conrad, del suo gusto per l’esotico e per la crudezza dei fatti. E in aggiunta un po’ di quel gusto per l’assurdo razionale e per i paradossi senza risposta tipico di Dino Buzzati. (continua…)
Daniele Pugliese, torinese, movimento studentesco in gioventù, oltre trent’anni di carriera giornalistica sulle spalle, ha all’attivo numerose pubblicazioni, da solo o con altri: una monumentale storia del Pci, un saggio sulla nascita del movimento cooperativo ed un altro sulle fortune del sigaro toscano, oltre alla curatela per conto de “l’Unità”, il giornale nel quale ha lavorato per oltre vent’anni come redattore e poi vicedirettore, di volumi sulla massoneria e sul mostro di Firenze.
Per dieci anni è stato il direttore di Toscana Notizie, l’Agenzia di informazione della Regione Toscana.