Ascoltando Uri Caine
23 gennaio 2011
Quale beneficio han tratto le mie orecchie – e il mio cuore, le mie sinapsi, forse, chissà!, la mia anima, qualche membrana che alberga fra i timpani, la carotide, il pericardio e l’epitelio – nell’ascoltare, ancora una volta dal vivo, quel genio della musica che è Uri Caine, del quale mi considero un estimatore fin dagli esordi, o almeno dalla sua apparizione in Italia, per merito di una recensione su l’Unità dell’amico Giordano Montecchi, un Frank Zappa colto e raffinato che condivideva con me e Andreone (Guermandi) pranzi sotto la volta stereofonica di Piazza Maggiore.
Credo che della sua produzione mi sfugga poco e quel poco per me è troppo, perché non c’è centimetro di partitura o d’improvvisazione che io conosca eseguita da lui che non smuova in me lo stupore per la capacità di smembrare i suoni e ricomporli e per quella strada giunger fin là in fondo dove appunto chi vi crede sospetta vi sia un’anima anziché un gorgoglio di liquidi e secrezioni.