La politica ritrovata

I vicini e lontani di Chiti

29 agosto 2016

Vannino Chiti

Ho tenuto sul comodino a lungo, per troppo tempo mi viene da dire, tra i non pochi libri che, per piacere o monito interiore, mi riprometto di leggere, Vicini e lontani (Donzelli, pp. 188, € 19), l’ultima fatica di Vannino Chiti, (www.vanninochiti.com), senatore della Repubblica italiana, a cui mi lega un antico rapporto fatto di “stima” e “affetto”, come lui stesso ha avuto occasione di dire nel corso della presentazione del mio Sempre più verso Occidente in una bella libreria di Pistoia, lo Spazio di via dell’Ospizio.

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Gli inamovibili di Romagnoli

8 marzo 2014

Gabriele Romagnoli

Dice Andrea Guermandi (qui) che la scrittura che ama è quella di Gabriele Romagnoli e la mia. E la cosa a me fa un certo effetto perché Romagnoli è, se non il, uno dei miei giornalisti preferiti. Ed ancor più un certo effetto me lo fa oggi che su Repubblica, alle pagine 56 e 57, leggo un articolo di Gabriele Romagnoli intitolato L’ultimo giapponese che, a distanza di poche settimane, torna su un argomento – un personaggio divenuto, come dice Romagnoli stesso, “una categoria dello spirito” – del quale avevo trattato nel mio blog il 18 gennaio scorso, in un post dal titolo L’ultimo samurai.

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La filosofia ai giardinetti

10 dicembre 2010

In un'altrettanto famosa birreria di Bruxelles, Marx scrisse Il Manifesto del partito comunista

Commenta svegliatasi col verso girato e (più d’) un pensiero filosofico frullante in testa la Rita il post intitolato Punti deboli. Invito a leggerlo. Anche perché son certo che avrà più share delle parole da cui prende spunto: lo squilibrio numerico fra la classe operaia e gli intellettuali è sempre stato sbilanciato dalla parte dei primi, perché bisogna essere in tanti per far star bene pochi. Come darle torto, al netto di un comprensibile eccesso di livore? Pone alcune domande la Rita, e visto che le scrive a me anche se sono rivolte a Geova o a chi potrebbe prendersi quel posto che noi gli attribuiamo, tento di risponderle.

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Punti deboli

8 dicembre 2010

La politica non tira. Ancor meno la filosofia politica. Troppo difficile forse o forse troppo scollegata dalla realtà, dalla vita delle persone. Anche se, invece, tenta proprio di andare al cuore della loro vita. Direi che da quando ho aperto il blog, non ho mai avuto così pochi visitatori così come da quando ho deciso di pubblicare il saggio intitolato La politica ritrovata (Si veda anche Una strada per la politica) e, tolti i primi giorni, solo quello.

Naturalmente potrei guardare la faccenda dal lato opposto e dire che, data la “noia” o la “pesantezza” dell’argomento, sono stati molti quelli che hanno avuto voglia di sapere cosa penso io dell’argomento e si son sorbiti i 20 capitoli dello scritto.

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La politica ritrovata. XX. Tracce di rivelazione

6 dicembre 2010

XX. Tracce di rivelazione

Friedrich Nietzsche

Abbiamo fatto cenno alle riflessioni di Asor Rosa sull’Apocalissi e il destino dell’Occidente dopo la guerra del Golfo. Ci sono in quel libro argomentazioni che possono essere preziose per chi voglia tentare di dar vita a un nuovo paradigma della politica.

Già nell’introduzione ci mette dinanzi al rischio che corriamo di restare attoniti, paralizzati, inoperativi. Scrive:

Io non dico: non è più possibile operare. Io dico: non è più possibile operare, se alcune condizioni preliminari e profonde, anche pre-politiche, non sono ripensate e ricostruite[1].

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La politica ritrovata. XIX. Una proposta politica

5 dicembre 2010

Alberto Asor Rosa

XIX. Una proposta politica

Fin dalle prime righe di questo testo si è voluto evidenziare alcuni aspetti critici nei confronti del libro di Revelli, pur condividendo in pieno il fatto che sia stato scritto, le motivazioni di fondo che hanno indotto a scriverlo, gli obiettivi per cui evidentemente è stato scritto, ed anche la forza delle argomentazioni e dei materiali a cui si è attinto per scriverlo.

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La politica ritrovata. XVIII. La politica degli impolitici

4 dicembre 2010

XVIII. La politica degli impolitici

Hannah Arendt

Se, in tempi di accreditato revisionismo e di opportunistici pudori “politically correct” il riferimento a Lukács e a Lenin dovesse risultare esageratamente blasfemo, si possono trovare altrove riflessioni – di cui abbiamo già dato conto – che inducono a considerazioni similari.

Scriveva Primo Levi nel racconto Vanadio compreso nella raccolta Il sistema periodico:

Nel mondo reale gli armati esistono, costruiscono Auschwitz, e gli onesti ed inermi spianano loro la strada: perciò di Auschwitz deve rispondere ogni tedesco, anzi ogni uomo, e dopo Auschwitz non è più lecito essere inermi[1].

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La politica ritrovata. XVII. Consigli per gli acquisti

3 dicembre 2010

XVII. Consigli per gli acquisti

Vladimir Ilic Ulianov Lenin

Nel capitolo XIV si è parlato di acquirenti e venditori, di produttori e consumatori come di due fluide classi che sempre più tendono a contrapporsi. In questa contrapposizione spesso non riescono nemmeno a identificare l’altra come “altra”, come “l’altro”, come il non-sé. Ma il fatto che non riescano a “identificarla”, non impedisce che l’“avvertano”, almeno emotivamente, come tale.

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La politica ritrovata. XVI. Leggi, diritti, giustizia

2 dicembre 2010

XVI. Leggi, diritti, giustizia

Si è qui parlato di “prezzo giusto”. E sul tema della giustizia merita forse spendere qualche parola. Ad essa dedica alcune pagine anche Revelli, mettendo a confronto la politica degli antichi e quella dei moderni, la giustizia appunto e la forza. Revelli cita il celebre ed attualissimo brano del De civitate dei di sant’ Agostino:

Socrate

Senza giustizia, che cosa sarebbero in realtà i regni, se non bande di ladroni? E che cosa le bande di ladroni, se non piccoli regni? Anche una banda di ladroni è, infatti, un’associazione di uomini, nella quale c’è un capo che comanda, nella quale è riconosciuto un patto sociale e la divisione del bottino è regolata secondo convenzioni primieramente accordate. Se questa associazione di malfattori cresce fino al punto da occupare un paese e stabilisce in esso la sua propria sede, essa sottomette popoli e città e si arroga apertamente il titolo di regno, titolo che le è assegnato non dalla rinuncia alla cupidigia, ma dalla conquista dell’impunità.

Sant'Agostino

Intelligente e verace fu, perciò, la risposta data ad Alessandro il Grande da un pirata che era caduto in suo potere. Avendogli chiesto il re per quale motivo infestasse il mare, con audace libertà, il pirata rispose: «Per lo stesso motivo per cui tu infesti la terra; ma poiché io lo faccio con un piccolo naviglio sono chiamato pirata, perché tu lo fai con una grande flotta, sei chiamato imperatore»[1].

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La politica ritrovata. XV. Ritorno a Hobbes

1 dicembre 2010

XV. Ritorno a Hobbes

Fin qui il pensiero di Revelli e degli autori mediante i quali potremmo trovare, volendola cercare, la «politica del futuro».

Karl Marx

Condividendo l’obiettivo – ancorché, come detto, secondo una sfumatura leggermente differente, la quale parte dalla costatazione che, ragionando di politica, se ne può semmai trovare una per il presente, e solo quella, niente di più, che per comodità ora chiameremo la “politica cercata” – proviamo a portare altra acqua al mulino per vedere se, uniti gli sforzi, si giunge a una qualche mèta da cui non ne derivi «una sconfitta per tutti». Il punto di partenza allora è, a giudizio di chi scrive, il «paradigma politico dei moderni», o meglio, per essere più precisi, il «paradigma politico».

Si è fin qui sostenuto che quello indicato da Revelli, ovvero sia il paradigma hobbesiano, non sia in realtà quello su cui si è retta la politica negli ultimi quattro secoli. Purtroppo. Ma non è così. È stato forse il paradigma su cui si sono fondati gli Stati moderni, ma non quello che ha regolato i rapporti tra gli esseri umani. E la politica, appunto, non è altro che la cornice che regola i rapporti tra gli esseri umani.

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La politica ritrovata. XIV. Verso un nuovo paradigma

30 novembre 2010

XIV. Verso un nuovo paradigma

Elie Wiesel

Revelli, dunque, auspica – o sollecita o pretende o invoca, quasi supplica – ma non elabora, non propone un «nuovo paradigma [...] per una politica dell’“al di là”»[1].

Mette infatti in guardia dalle minacce che si addensano sulla politica «se non si riuscirà a elaborare in fretta, per lo meno un abbozzo, di “nuovo paradigma” [...] che sappia misurarsi in forma meno distruttiva del passato – nel nuovo spazio che siamo chiamati ad abitare – con la questione esplosiva del Male [... ed elaborare] un’inedita teodicea all’altezza della sfida (disumana) dei tempi»[2].

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La politica ritrovata. XIII. Nei meandri della globalizzazione

29 novembre 2010

XIII. Nei meandri della globalizzazione

Norberto Bobbio

Secondo Revelli, dunque, l’argomento tecnologico sostenuto da Beck e quello antropologico espresso da Balducci, conducono a considerare obsoleto il «paradigma politico dei moderni» e a questi due argomenti se ne aggiunge un terzo: quello geopolitico, fondato sulla considerazione che la globalizzazione, intesa come fenomeno assai più profondo di quello economico-finanziario – la mondializzazione dei mercati, delle merci e dei capitali – «capace di coinvolgere e mutare le coordinate essenziali della mentalità collettiva e dell’essere sociale»[1], rappresenta una sconnessione, o se si preferisce, una «rivoluzione spaziale».

… un mutamento dello statuto stesso della spazialità, che introduce un tipo di cesura – una svolta, appunto, di natura epocale –, paragonabile a quelle che spezzano il tempo periodizzandolo. Distinguendolo in differenti “epoche”.

Lo “spazio sociale” della globalizzazione – in ciò sta il suo carattere rivoluzionario, che lo rende diverso da tutto quanto è stato finora – è uno spazio globale (come dice la parola stessa). Dunque uno spazio “totale”, che coincide, senza apparenti residui, con l’intera estensione del pianeta (con il tutto spaziale che possiamo esperire); che esaurisce, per la prima volta nella storia, tutto lo spazio praticabile, trascendendo (e surdeterminando) ogni altro spazio “parziale”. Il fenomeno è percepito (e tematizzato), in prima approssimazione, come “sfondamento”, abbattimento di confini, cancellazione delle antiche linee di demarcazione e di segmentazione che frammentavano, fino a ieri, lo spazio planetario in spazi territoriali: «La globalizzazione – osserva opportunamente Carlo Galli – è essenzialmente sconfinamento, sfondamento di confini, deformazione di geografie politiche». Con essa – aggiunge – «si realizza per la prima volta nella storia dell’umanità l’unificazione del mondo. Di un mondo senza centro ma con molte periferie, unificato ma non unitario, tecnicizzato ed economicizzato ma non neutralizzato»[2].

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La politica ritrovata. XII. La fine della Storia

28 novembre 2010

Ernesto Balducci

XII. La fine della Storia

La possibilità di un’inversione di tendenza e di imboccare un’altra strada – che non faccia piazza pulita di tutto quello che abbiamo avuto finora, ma di parecchio sì – sarebbe molto favorita dal comprendere che Cernobyl è l’esempio più tipico di quell’insicurezza causata non dalla natura, ma dalla tecnologia, cioè dall’uomo.

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La politica ritrovata. XI. Oltre la catastrofe

27 novembre 2010

Antonio Gramsci

XI. Oltre la catastrofe

Non abbiamo ancora risposto alle domande poste in apertura del capitolo IX. Lì ci siamo limitati a riconoscere i rischi apocalittici presenti nella nostra epoca, ma anche a relativizzarli, a privarli dell’aura di inesorabilità con cui spesso vengono presentati. Ma non abbiamo risposto al quesito se abbia senso sventolare il fantasma dell’apocalisse per imboccare una strada diversa da quella intrapresa finora che sembra condurci alla sconfitta totale e per lasciare la quale, appunto, sembra indispensabile ricorrere a una nuova politica.

Ebbene, la risposta a quell’interrogativo è negativa: non è lo spauracchio della catastrofe che può indurre un ripensamento, un’inversione di tendenza. Non è stato così negli ultimi sessant’anni, nemmeno in quelli caratterizzati dalla stessa guerra fredda e dalla corsa al riarmo; non si comprende perché dovrebbe essere così oggi, quando gli ordigni nucleari sono maggiormente alla portata di mano di più soggetti? Siamo passati indenni anche al suggestivo passaggio di millennio e alle paure che lo hanno preceduto.

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La politica ritrovata. X. La crisi della politica

26 novembre 2010

X. La crisi della politica

Gustave Doré, La distruzione del Leviatano

Non è del resto l’attribuzione alla seconda guerra del Golfo di un qualche primato, di un punto di svolta, a modificare il corso delle cose e la sostanza del problema. Al di là della sua data di origine, il fenomeno resta. Ma è tale da giustificare l’affermazione che «il “paradigma politico dei moderni” non funziona più»? È tale da mettere «sotto critica una politica (sia pure la politica dell’unica superpotenza mondiale)», come suggerisce poco oltre Revelli e, di più, da colpire al cuore «l’idea stessa di politica così come la conosciamo oggi», destituendo «di senso il paradigma “securitario”»[1]?

La mia opinione, l’ho già sostenuto, è che il paradigma politico dei moderni non abbia mai funzionato. O meglio non abbia funzionato nel senso che proprio quel paradigma ci indicava. E che perciò sia un altro il paradigma politico dei moderni che ha funzionato: non quello pattizio, non quello securitario.

La mia opinione è che il Leviatano non cessi ora «di essere quel “dio mortale” che la teologia civile hobbesiana aveva inventato», e non solo ora torni «nella propria palude, mostro tra gli altri mostri»[2].

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La politica ritrovata. IX. Il fantasma dell’Apocalisse

25 novembre 2010

I quattro cavalieri dell'Apocalisse di Albrecht Durer

IX. Il fantasma dell’Apocalisse

Ma ha senso sventolare il fantasma dell’Apocalisse per invitare alla politica e per spingere chi fa politica a una politica che

Giovanni Apostolo

escluda il ricorso alla forza? Che affermi se stessa contro la guerra essendo questa la negazione della politica? Che persegua quei fini che non distruggono il mondo evitandogli la fine?

E ancora, quali sono quei fini che non distruggono il mondo evitandogli la fine? Tolta la guerra, è più securitario e preservativo distribuire equamente le ricchezze nel mondo, o lasciarle in poche mani, o proporre una sobria povertà per tutti? E infine, che strumenti abbiamo per perseguire uno di questi fini, una volta deciso quale di essi sia quello che non distrugge il mondo evitandogli la fine?

Proviamo ad affrontare la prima di queste domande, dalla cui risposta potrebbero scaturire importanti suggerimenti anche per soddisfare le altre.

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La politica ritrovata. VIII. Corsi e ricorsi

24 novembre 2010

Primo Levi

VIII. Corsi e ricorsi

«Forse dovremmo aver più coraggio – scrive Revelli – nell’affermare, con maggior nettezza, che il “paradigma politico dei moderni” non funziona più»[1].

Ma forse non è un problema di coraggio, né questione di affermare con maggior nettezza. Semplicemente «il “paradigma politico dei moderni” non funziona più». O meglio non ha mai funzionato. E questo al di là della buona fede e dell’acume di Hobbes.

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La politica ritrovata. VII. Fini e mezzi

23 novembre 2010

Aristotele

VII. Fini e mezzi

Revelli sostiene che con Hobbes – con il suo riconoscimento che il male risiede negli istinti e nelle passioni dell’uomo fino a spingerlo ad essere «homini lupus» e soldato nel «bellum omnium contra omnes»; con il riconoscimento che l’uomo è di natura negativo, distruttivo e autodistruttivo; con il riconoscimento dell’artificiosità e dell’innaturalezza del “pactum” preservativo e salvifico – si consuma la rottura «con l’intera tradizione del pensiero politico classico, da Aristotele a san Tommaso (lasciamo per ora da parte Agostino) per cui l’uomo era invece l’animal politicum et sociale per definizione: l’essere per sua natura portato alla convivenza e all’armonia con i propri simili perché più di ogni altro bisognoso e dipendente dagli altri»[1].

Si è già avuto modo di contestare quest’affermazione, dal momento che la negatività dell’uomo e addirittura la sua tendenza autodistruttiva non escludono la propensione alla socialità, all’armonia e, cosa qui dimenticata, alla creatività.

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Il comunicato di ali comunicazione

22 novembre 2010

Questo il comunicato stampa diffuso da ali comunicazione per l’uscita sul blog di La politica ritrovata.

Sul blog di Daniele Pugliese un saggio per ritrovare la politica

Da oggi a puntate su www.danielepugliese.it i 20 capitoli di un libro scritto nel 2004 all’ombra delle bandiere arcobaleno

Fra il dicembre 2003 e il marzo 2004, Daniele Pugliese – 22 anni a l’Unità, 10 alla Regione Toscana a fondare e dirigere l’Agenzia di informazione della Giunta presieduta da Claudio Martini e ora un libro di racconti, Sempre più verso Occidente edito dalla Baskerville di Bologna –, dopo aver letto un interessante pamphlet di Marco Revelli pubblicato da Einaudi e intitolato La politica perduta, replica, sottoscrive e aggiunge, scimmiottando Proust. Il risultato è La politica ritrovata, un saggio breve ma denso, pieno di passione ed arrovellamenti, per cercare qualche idea che ci faccia evitare la sconfitta totale.

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La politica ritrovata. VI. L’insicurezza è sicura

22 novembre 2010

Thomas Hobbes

VI. L’insicurezza è sicura

Quando si afferma che la politica ha a che fare con il male inteso «come possibilità di sofferenza e di morte, di dolore e paura [...], e come permanente stato di guerra, in cui “ogni uomo è nemico ad ogni uomo” e ognuno vive “senz’altra sicurezza di quella che la propria forza e la propria inventiva potrà fornire”»[1], bisogna avere la consapevolezza che la politica non può impedire il male. La morte infatti può dipendere dalla politica, e qui la politica può ritrarsi, astenersi assolutamente dal causare morte, sia che essa costituisca un fine, quanto un mezzo. Ma la morte non dipende solo da essa, e perciò la politica deve accettare come inevitabile la morte e non porsi obiettivi che non siano alla propria portata come quelli derivanti dall’ambizione di impedire la morte. Quindi non può porsi nemmeno obiettivi – fini – che prevedano in assoluto di evitare la sofferenza, il dolore, la paura. Parimenti non può porsi l’obiettivo di instaurare la felicità o stati simili che prevedano l’assenza di sofferenza, dolore e paura, non essendo questi interamente derivabili o prescrivibili dalla politica.

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La politica ritrovata. V. I cani e i lupi

21 novembre 2010

v. I cani e i lupi

Abbiamo già notato che non è data politica, se non è dato male, in quanto quest’ultimo è «condizione prima ed essenziale del “politico”; [...] suo presupposto costitutivo. [...] tratto specifico della condizione naturale dell’uomo»[1].

Niccolò Machiavelli

Il paradigma politico della modernità prende le mosse da lì, dal male. Anzi, sarebbe più esatto dire che qualsiasi paradigma politico – antico, moderno, attuale o futuro – non può che prendere le mosse dal male. Se, infatti, non ci fosse qualcosa che non va, qualcosa di male, o almeno qualcosa che potrebbe andare meglio, che ragione ci sarebbe di darsi da fare, di occuparsi delle cose?[2]

Ma questo dovrebbe ricondurci a considerare la politica come lo strumento che gli uomini hanno per tentare di occuparsi del bene e provvedere ad esso. O, se si preferisce, a considerare la politica come l’habitat nel quale essi possono operare e addirittura debbono operare, nel quale cioè sono costretti ad operare, per procurarsi il massimo di bene e il minimo di male.

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La politica ritrovata. IV. Politica, politiche

20 novembre 2010

György Lukács

IV. Politica, politiche

Malgrado la politica che passa per il male abbia già mostrato di fallire, di non condurci cioè alla salvezza, insisteremo ad occuparci del male per comprendere se si può ritrovare una politica che ci salvi, ci liberi dal male e per di più non fallisca.

Dobbiamo però chiederci se esiste davvero un’esigenza di ritrovare la politica perduta. Se non sarebbe più esatto, e producente, ritrovare una determinata politica perduta, vale a dire qualcosa che assomigli a un “ideale politico”, magari avendo lo scrupolo di non restare nuovamente impigliati nei trabocchetti degli “ideali” e nelle prigioni dell’“ideologia”. O, ancora, se non sarebbe meglio preoccuparsi di individuare il modo migliore per far sì che il maggior numero possibile di persone semplicemente si occupino di politica, cosicché, quand’è il momento di votare, si possa influenzare davvero coloro che prenderanno una decisione per nostro conto. In altre parole estendere le basi della democrazia.

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La politica ritrovata. III. L’ingombrante presenza di Dio

19 novembre 2010

Hans Jonas

III. L’ingombrante presenza di Dio

Un’altra critica di fondo da fare al libro di Revelli è che in esso vi è un eccesso, se così lo si può chiamare, di attenzione al ruolo del religioso, malgrado proprio questa sia la forza del libro, soprattutto nella parte storica, ma anche nell’osservazione degli accadimenti più vicini ai giorni nostri.

Revelli giustamente ci dice che il Libro di Giobbe è il «trattato originario sulla questione del male», il promemoria individuale e storico del dolore e della sofferenza dell’innocente, il libro della prova dell’uomo e dell’assenza di Dio[1].

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La politica ritrovata. II. La molla della politica

18 novembre 2010

Giobbe

II. La molla della politica

È vero che la molla che muove l’uomo verso la politica è, come sostiene Revelli, la sofferenza di Giobbe, il torto subito, l’ingiustizia patita da una vittima per mano di chi non avrebbe proprio dovuto esserci nemico e di chi detiene un potere così enorme su di noi?

È vero, ma solo parzialmente. Innanzitutto dobbiamo sbarazzarci di un equivoco. Giobbe se la vede con Dio; gli uomini, dinanzi alla politica, con altri uomini. Di poi è vero, e nemmeno interamente, per le classi subalterne, per le vittime dell’ingiustizia. Anche fra gli umili c’è chi non reagisce, chi non sente l’impulso della molla. Anche fra i sudditi vessati dal potere c’è chi sbotta non per sé, ma per i propri simili. Anche nel proletariato c’è chi comincia a darsi da fare non per eliminare le classi, ma per risalire la scala sociale.

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La politica ritrovata. I. Ripensare la politica

17 novembre 2010

Marco Revelli

i. Ripensare la politica

In sole 137 pagine, Marco Revelli fa uno sforzo veramente notevole: quello di ricostruire i punti cardine del pensare e dell’agire politico nel corso della storia, da Platone ai giorni nostri, e di suggerirci, quindi, in questa epoca di grande sconcerto e desolazione, una via d’uscita per il futuro.

La politica perduta[1] non è un libro di storia delle dottrine politiche; né un pamphlet agitatorio per una nuova formazione politica alla ricerca di autorevoli referenze teoriche; né, infine, un saggio gelido e accademico per sfoggiare un po’ di erudizione. C’è qualcosa di tutto questo: lo sguardo d’insieme e la capacità sintetica; il pathos di chi si sente nella mischia e si rende conto che i tempi che corrono, quelli di breve e di lungo periodo, promettono poco di buono e urge fare qualcosa; una considerevole conoscenza delle idee a nostra disposizione e dell’evoluzione che esse hanno avuto, accompagnata dalla consapevolezza dei limiti di quei vecchi strumenti e degli argomenti a favore o contro di essi; le coordinate concettuali di riferimento, in particolare quelle figure mitiche che, espresse nel pensiero religioso, costituiscono i cardini o il substrato su cui si fondano le costruzioni politiche.

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