Luigi Albertini
Come promesso in Il mestiere più antico del mondo, su invito di Sara Fioretto, ho partecipato ieri nella bella libreria dei Servi, dinanzi a un pubblico di una ventina di persone, nessuna delle quali interessata a fare da grande il giornalista, alla presentazione del libro di Cristiano Tassinari, Volevo solo fare il giornalista, pubblicato dalla casa editrice Lìmina di Arezzo, al quale ho fin dalle prime battute precisato che, avendo comprato il libro con il 20% di sconto a € 16 pochi minuti prima dell’evento, avrei parlato non nel merito del volume ma del tema che invece conosco piuttosto bene.
Agli astanti ho spiegato che la scheda editoriale del libro, la quale invece avevo accuratamente letto, sostiene che Tassinari punta un dito contro un sistema fatto di lottizzazioni, raccomandazioni, favori, scambi e quant’altro, e denuncia il calvario a cui spesso, quasi sempre, sono sottoposti gli aspiranti giornalisti, a cui vengono proposti stage senza fine, contratti da cococo, pagamenti a rigaggio (spiccioli per ogni riga) e a borderò, interminabili precariati.
Ci siamo passati tutti, ma credo che oggi sia diventato un vizio, una regola, una consuetudine. Ritengo anche che, purtroppo, tale abominio sia diffuso ovunque: vogliamo parlare delle case editrici o dei call center o dell’antica mitica fabbrica? E ricordarci, come ci ha insegnato, se non ricordo male, il mitico Luigi Albertini, che «fare il giornalista è sempre meglio che lavorare».
Tassinari, che è un giornalista televisivo – senza offenderlo!, semmai lo devo ringraziare avendomi dato l’opportunità di ricordare che in libreria c’è anche un libro mio –, è un istrione. Ha tenuto banco buona parte del tempo, presentando e presentandosi, più che farsi presentare. Del resto, giustamente, non avendo io letto il libro, cosa che invece aveva fatto la gentile Sara. Ma uso la parola istrione perché poi mi servirà a sviluppare un ragionamento che devo al grande amico e maestro Piero Nacci.
(continua…)