Luigi Albertini

Alea iacta est, il dado è tratto

24 ottobre 2016

«Alea iacta est». Secondo Svetonio la frase l’avrebbe pronunciata, nella notte del 10 gennaio del 49 a.C. Giulio Cesare varcando il fiume Rubicone e prendendo quindi una decisione senza possibilità di appello.

Vien tradotta con «Il dado è tratto» e sta a significare che la decisione è stata presa e qualunque siano le conseguenze vanno messe nel conto e non si torna indietro.

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Formare/Informare

24 giugno 2013

Luigi Albertini

Se non ricordo male fu Luigi Albertini, mitico direttore del Corriere della Sera fra il 1900 e il 1925, a dire che «un giornale vive un giorno solo». Per quanto sia prezioso questo suo insegnamento non ho mai voluto crederci troppo. Se scrivi che uno è un assassino, il giorno dopo puoi tranquillamente occuparti del crollo dei titoli in borsa e lasciar decadere la faccenda, ma il marchio d’infamia quasi certamente a quell’uomo rimane indosso.

Non solo: rimettendo in fila la collezione di un quotidiano gelosamente conservato e non affidato alla pattumiera in quanto “usa e getta”, si ha una traccia di storia, una cronologia magari incompleta, arbitraria e fuorviante ma pur sempre l’ossatura di un anno, di una stagione, di un periodo storico. Anche la coscienza di un individuo, la sua weltanshauung, per quanto il quotidiano informi e non formi, o meglio dovrebbe informare e non formare, si può strutturare e consolidarsi passando tutte le mattine in edicola.

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… anche un po’ di vocazione

8 maggio 2010

Luigi Albertini

Come promesso in Il mestiere più antico del mondo, su invito di Sara Fioretto, ho partecipato ieri nella bella libreria dei Servi, dinanzi a un pubblico di una ventina di persone, nessuna delle quali interessata a fare da grande il giornalista, alla presentazione del libro di Cristiano Tassinari, Volevo solo fare il giornalista, pubblicato dalla casa editrice Lìmina di Arezzo, al quale ho fin dalle prime battute precisato che, avendo comprato il libro con il 20% di sconto a € 16 pochi minuti prima dell’evento, avrei parlato non nel merito del volume ma del tema che invece conosco piuttosto bene.

Agli astanti ho spiegato che la scheda editoriale del libro, la quale invece avevo accuratamente letto, sostiene che Tassinari punta un dito contro un sistema fatto di lottizzazioni, raccomandazioni, favori, scambi e quant’altro, e denuncia il calvario a cui spesso, quasi sempre, sono sottoposti gli aspiranti giornalisti, a cui vengono proposti stage senza fine, contratti da cococo, pagamenti a rigaggio (spiccioli per ogni riga) e a borderò, interminabili precariati.

Ci siamo passati tutti, ma credo che oggi sia diventato un vizio, una regola, una consuetudine. Ritengo anche che, purtroppo, tale abominio sia diffuso ovunque: vogliamo parlare delle case editrici o dei call center o dell’antica mitica fabbrica? E ricordarci, come ci ha insegnato, se non ricordo male, il mitico Luigi Albertini, che «fare il giornalista è sempre meglio che lavorare».

Tassinari, che è un giornalista televisivo – senza offenderlo!, semmai lo devo ringraziare avendomi dato l’opportunità di ricordare che in libreria c’è anche un libro mio –, è un istrione. Ha tenuto banco buona parte del tempo, presentando e presentandosi, più che farsi presentare. Del resto, giustamente, non avendo io letto il libro, cosa che invece aveva fatto la gentile Sara. Ma uso la parola istrione perché poi mi servirà a sviluppare un ragionamento che devo al grande amico e maestro Piero Nacci.

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Una lezione dall’eden

22 aprile 2010

José Saramago

Se non ricordo male è stato Luigi Albertini, mitico direttore del Corriere della Sera fra il 1900 e il 1925, quando anche in un giornale della borghesia c’era da opporsi in un qualche modo al fascismo, a dire che un giornale vive solo un giorno. Alla sua fonte abbiamo attinto tutti, o almeno coloro che ’sto mestiere l’han preso sul serio e vi hanno creduto, e la frase è più che vera, tant’è che dal giorno seguente se ne può far carta straccia o incartarci l’insalata. Ma vi son fanatici e patiti che non riescono ad adeguarsi e conservano, conservano, conservano. Ritaglio giornali, è vero, compulsivo quasi come il protagonista del mio racconto Amore in buca che si dava invece ai vocabolari.

Perciò ieri, con un giorno di ritardo, ho ripreso in mano la Repubblica di martedì 20 aprile e l’occhio mi è cascato sul colonnino di destra, la spalla si sarebbe detto un tempo, ancorché con tale parola non si sarebbe esattamente inteso il genere di articolo a cui mi sto riferendo, ma i quotidiani oggi non si fanno come ai tempi di Albertini e neppure come a quelli in cui ho studiato io, quando in prima ci stavano solo le notizie e queste raramente eran date dal pensiero (o dalla mancanza di pensiero) di un politico o del suo avversario.

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