Milena Gabbanelli

Lezione di intervista 8: imparando da Eugenio

10 settembre 2016

Eugenio Manca

Dall’amico Francis Haskell che, ahimè, non c’è più, nella mia scaletta preparata per la lezione sull’intervista ai “Giovani reporter” della scuola Alessandro Volta, avevo deciso di passare a un altro amico che anch’egli, ahimè, non c’è più, Eugenio Manca, del quale era da poco uscita, curata da Sergio Sergi e Carlo Ricchini, una raccolta delle sue principali interviste preparate per l’Unità e – dopo la morte di questa testata ripetutamente fatta risorgere senza più rispettarne il Dna originario, fino all’obbrobrio dei giorni nostri – per altri giornali, intitolata Non li abbiamo ascoltati. Peggio per noi, fra le quali avevo scelto quella fatta, nell’aprile del 2000, ad un grande regista italiano che era recentemente scomparso: Ettore Scola.

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La severità smarrita

10 gennaio 2015

Da quello che ho letto, alla Camera si sta discutendo un disegno di legge di riforma delle norme relative alla diffamazione a mezzo stampa, con il quale sostanzialmente si abolirebbe il ricorso alla reclusione – ora da 6 mesi a 3 anni – nel caso un tribunale accerti che un giornalista pubblicamente, e nella fattispecie servendosi di un media capace per sua natura di espandere l’audience, “offenda l’altrui reputazione”.

Questa infatti è la definizione di “diffamazione” data dal Codice penale (art. 595), uno dei due capisaldi di quello che, finché non si siano cambiate le norme, si può o non si può fare: “l’offesa dell’altrui reputazione” arrecata “comunicando con più persone” (anche in una piazza dinanzi a vari testimoni), aggravata se effettuata “col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico”, in altre parole estendendo la platea degli uditori.

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Sospetti e certezze

11 aprile 2011

I dubbi espressi nel mio post del 3 aprile scorso, intitolato Inserzioni sospette, possono essere meglio compresi guardando la puntata di ieri di Report su Rai 3. Come al solito: brava Gabbanelli.

Guardando Report

13 dicembre 2010

Milena Gabbanelli

Non guardo quasi mai più la televisione e vivo benissimo così. O meglio, magari non vivo proprio benissimo, ma la tv non mi manca per niente. Tant’è che non la possiedo. Ieri sera, però, ho visto, non a casa mia, l’ultima puntata del ciclo di Report. Milena Gabbanelli, e più di lei, per i miei gusti, Riccardo Iacona, sono… Lo dirò in un altro modo.

Un giorno, un paio d’anni fa, qualcuno mi ha detto: «Iacona è proprio bravo». M’è toccato rispondere: «No, non è bravo. È un giornalista». Lui e la Gabbanelli sono bravi, ma più che altro sono come dovremmo essere tutti noi cronisti, come ci avevano insegnato ad essere. Silenziosi e petulanti, tenaci e garbati, dubbiosi e determinati. Quelli che hanno portato gli schiamazzi in tv, e poi sulla carta stampata, sono, invece, come non dovremmo essere.

Penso che se la gente, tutta la gente, guardasse le trasmissioni di Iacona e della Gabbanelli, avrebbe non solo molti elementi in mano per valutare, ed anche, talvolta, per sospendere il giudizio, per restare col dubbio, ma il dubbio innestato da un tarlo, da una conoscenza. E penso che se onorevoli e senatori si occupassero di risolvere almeno un problema all’anno di quelli raccontati in quelle trasmissioni (per esempio, nella puntata di ieri, la questione tumori a Taranto), concentrando solo su quello la loro attenzione, avrebbero fatto bene il loro lavoro.

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