Della piazza e dintorni
20 giugno 2010
Per quanto la mia anima sia insoppribilmente comunista, son di quelli che pensano che quasi sempre “la piazza” abbia torto, o comunque non sia sufficientemente in grado di aver ragione. Ho in mente quei boati un po’ tarantolati che spesso hanno finito con l’incendiar qualcuno o farne penzolare qualcun altro e simili. Non da meno penso che sia sana cosa, invece, “scendere in piazza” – assai più che “scendere in campo”, mediazione calcistica trasferita alla politica – perché vi deve pur essere un posto dove si possa manifestare, esprimere, dar corpo al proprio malcontento, alla disapprovazione, al rifiuto, e se non si vien ascoltati altrove è lì che ci si può dar appuntamento. La piazza, in senso urbanistico-architettonico, a quel che ne so, ha a lungo ricoperto il significato di luogo d’incontro e per questa via, poi, di mercato, di luogo ove avvenga uno scambio, sia pure di merci e denaro, ma che magari possono essere anche idee o conoscenze.