Ordine dei giornalisti
2 gennaio 2015
Protestavo, o quanto meno manifestavo il mio fastidio, il 24 gennaio dello scorso anno scrivendo il post intitolato A lezione, ma da chi?, nel quale davo conto dell’e-mail con cui l’Ordine dei giornalisti mi aveva comunicato l’obbligo di sottopormi a interrogazioni, esami, questionari, test ed alla partecipazione a corsi e seminari per mettere un timbro ufficiale a quello che evidentemente la conduzione della mia vita nei 35 anni precedenti – la prassi avrebbe detto un marxista in altri tempi o l’esperito un esperto di animus – non aveva sufficientemente dimostrato, sì insomma che per far il chirurgo non serve saper usar il bisturi o la cazzuola per il muratore, ma le x apposte a fianco del quiz con cui un chirurgo può diventar carpentiere e quest’ultimo un mago della laparoscopia, basta non lasci e raddoppi e illumini la casella giusta.
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23 giugno 2014
Renzo Ulivieri
Se lo raccontassero a uno dei miei amici o a chi comunque mi conosce abbastanza bene non ci crederebbe: Daniele Pugliese che per 4 ore se ne sta inchiodato su una sedia ad ascoltare che cos’è un catenaccio non in senso giornalistico inteso, un modulo (anch’esso non nella sua accezione giornalistica), lo schema, la zona, la rimessa, il corner, il dribbling e così via.
E invece è vero, l’ho fatto ed anche con piacere, a dispetto di quello che dissi a Gabriele Capelli il primo giorno che entrai in redazione e mi chiese che cos’avrei voluto scrivere: «Qualunque cosa, purché non di calcio». Un patto che ho scrupolosamente onorato in 36 anni di onorata carriera ormai prossima al tramonto, per giungere in fondo alla quale l’ordine dei giornalisti s’è ingegnato che bisogna ottenere i “crediti formativi”, orripilante espressione desunta dagli sportelli bancari dove un qualche senso il riscontro di cassa ce l’ha, ovvero il gioco del dare e dell’avere, dei meno e dei più.
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26 gennaio 2014
La regia televisiva di Sky
Uno dei punti chiave della riforma scolastica che volevamo quando andavo al liceo – anni Settanta del secolo scorso – era l’estensione dell’obbligo scolastico non a un’età, ma al compimento di un ciclo di studio e formazione, di modo che chiunque – ricco o povero, geniale o stupido – avesse i basamenti o il minimo comun denominatore per affrontar da solo l’esistenza, debuttare in società, trovar di che campare.
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24 gennaio 2014
Avendo io pagato la quota annuale 2014 di iscrizione all’Albo dei giornalisti, l’Ordine mi ha inviato per posta il bollino da apporre alla tessera professionale (ho una faccia da bambino nella foto, era il 1982 quando è stata scattata e il 1983 quand’è stata apposta, e fa 31, tolti quelli della gavetta), con quella dell’Anpi, Associazione dei partigiani, l’unica che conservo nel portafogli. Orbene il bollino adesivo si trovava su un cartoncino sul quale è stata stampata questa frase attribuita a Indro Montanelli, quello, tra le altre cose, del “turiamoci il naso”: «Il giornalismo lo si fa per il giornalismo, per il piacere di farlo. È difficile farlo bene, a volte è anche pericoloso. Il bello di questo mestiere è che si affronta un esame ogni giorno».
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12 maggio 2013
Sono tempestato di e-mail, anche di stimabili colleghi, che mi chiedono il voto per il rinnovo degli organismi che regolano l’Ordine dei giornalisti che, come ho avuto occasione di dire più volte, è, tolta l’Associazione dei partigiani d’Italia (Anpi) e il sindacato dei giornalisti (Ast), l’unico organismo al quale, avendo una tessera, sono iscritto.
Non ho mancato negli ultimi anni di far notare, anche con prese di posizione pubbliche, quanto meno il mio rammarico, se non la protesta, per come operano sia l’Ordine che il sindacato, per le incongruenze che ne caratterizzano l’attività, per i limiti che hanno, per il tradimento della loro missione.
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16 gennaio 2012
A Carlo Bartoli,
presidente Ordine dei giornalisti della Toscana
p.c. a Claudio Armini
vicepresidente Ordine dei giornalisti della Toscana
p.c. a Michele Taddei
tesoriere Ordine dei giornalisti della Toscana
Carissimi e stimati colleghi,
quando nel lontano gennaio 1983 mi è stata consegnata la tessera n. 38048 dell’Ordine nazionale dei giornalisti, l’unica di cui mi pregio oltre a quella dell’Anpi avendo rinunciato a quella della P2, dopo 6 anni di precariato al prestigioso quotidiano fondato da Antonio Gramsci per lavorare nel quale avrei venduto la mamma ai beduini, ammesso l’avessero presa, sei anni che purtroppo non sono stati interamente conteggiati per il riscatto della pensione che diventa sempre di più uno spettro evanescente, ho ritenuto di aver finalmente conseguito la laurea per la quale avevo tanto studiato e sgobbato. (continua…)
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5 gennaio 2011
La tessera dell'Ordine dei giornalisti
Sono stato a pagare la mia quota associativa per il 2011 all’Ordine dei giornalisti. Quota intera, malgrado la disoccupazione, non ridotta come ai pensionati. È il mio contributo al mantenimento di un organismo che dovrebbe tutelare la deontologia del nostro mestiere. È l’Ordine che stabilisce se sei o non sei, se puoi fare o non puoi fare il giornalista. E ti dice anche come, ti dà le regole, fissa i comportamenti.
Una volta messo il tesserino in tasca, poi, ognuno può fare come gli pare. Ma l’iscrizione è obbligatoria.
Il buon vecchio Groucho Marx diceva che non si sarebbe mai iscritto a un club che avesse tra i suoi aderenti uno come lui. L’associazione, infatti, trasferisce ai propri membri i vizi e le virtù, i pregi e i difetti di tutti coloro che ne sono aderenti. Certo, si può ragionare del ruolo tenuto dal singolo – che so io – nel Pcus di Stalin o nel Partito nazionalsocialista di Hitler, ma il connubio, la partecipazione non è scontabile.
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14 ottobre 2010
Però un’altra considerazione, appena accennata nel post Qualcuno era comunista del 19 settembre scorso, devo farla riguardo la vicenda del mio lavoro.
La campagna della Fnsi contro il bavaglio ai giornalisti
A scanso equivoci è opportuno ribadisca che da un punto di vista formale nulla mi era dovuto e non sta scritto in nessun luogo che un contratto a tempo determinato, con tanto di scadenza a fine legislatura, come l’ho sempre chiamato un “cococo di lusso”, debba per forza essere rinnovato.
La questione, evidentemente, non è questa. In discussione non c’era quello che altrove si chiamerebbe “la giusta causa”. Anzi, semmai, per motivi di merito, sarei dovuto essere ancora in sella al cavallo o, più precisamente, a Palazzo Strozzi Sacrati avrebbero dovuto dire: «Cavallo che vince non si cambia». È solo una questione di maggior fiducia verso qualcun altro o di maggior organicità a quello che si ha intesta o comunque di gratitudine per il lavoro svolto, ed io lo trovo del tutto legittimo e accettabile. Niente da eccepire.
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20 settembre 2010
Il logo della Rai
La Rai assume, ma la mia iscrizione all’Albo dei giornalisti dal 1983 e il mio curriculum non gli piacciono. Son nato troppo tardi per entrare nel servizio pubblico radio televisivo con la tessera del Pci che per un po’ ho avuto in tasca e troppo presto per avvalermi dell’unica tessera che, oltre a quella dell’Anpi, mi è rimasta nel portafogli: quella appunto dell’Ordine dei giornalisti.
Conditio sine qua non per partecipare al concorso è di esser nati dopo il 1974 e io quell’anno avevo già deciso cos’avrei voluto fare da grande. Ti chiedono anche d’esser laureato e io questo requisito ce l’avrei, anche se ho sempre sostenuto che non sia questo quello che fa di uno un giornalista: come scriveva Karl Kraus, e l’ho già citato, è non avere un’idea e saperla esprimere il requisito fondamentale. Come scrive Gian Antonio Stella sul Corriere di oggi, se fossero vivi Biagi e la Fallaci, non gli darebbero questa opportunità e anche Giorgio Bocca è doveroso si tenga alla larga.
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16 luglio 2010
Euro in banconote
Ho rinunciato a 500 euro. Si potrebbe dire: gettati al vento. No, li prenderà qualcun altro. Perché in cambio avrei dovuto scrivere dieci articoli. Cinquanta euro a pezzo. Ci sarà sicuramente qualcuno disposto a buttar giù due cose in cambio di 50 euro. Coi tempi che corrono. Con la fame di fare questo mestiere che non ha più contorni e punti di riferimento.
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30 maggio 2010
Enrico Rossi
Ho votato per Enrico Rossi alle elezioni regionali. Ne vado fiero. Posso non essere d’accordo con lui su alcune cose, ma sono di sinistra – facciamo a capirsi! – e ritengo che non esercitare il proprio diritto-dovere di elettore, caposaldo di una democrazia, sia un reato. L’appartenenza a uno Stato, cioè a una collettività, a una comunità, che si fregi di essere democratica, non un regime come c’è stato in Italia fra il 1925 e il 1945, implica poche fondamentali regole. Tutte da rispettare.
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22 aprile 2010
La Costituzione italiana
Domenica andrò a iscrivermi a una sezione dell’Anpi, l’Associazione nazionale dei partigiani d’Italia. Avrò in tasca quella tessera, io che ne ho sempre volute aver poche, se non quella dell’Ordine dei giornalisti, che ho cercato di onorare come dopo un giuramento sulla Costituzione o a Esculapio, venendo meno solo una notte che ero ubriaco. Ho avuto anche quella della Fgci e poi del Pci, ma di questo, magari, scriverò un’altra volta. Ora è più importante la questione dell’Anpi.
L’ho già scritto, ma lo ripeto, per lanciare un appello a tutti. Oggi ce n’è bisogno. Ho accettato il consiglio che la scrittrice Simona Baldanzi ha dato domenica scorsa sulle pagine fiorentine de l’Unità: invita a metterci un po’ più di passione quest’anno per il 25 aprile. «Perché – scrive – dobbiamo come seminarci dentro, prenderci cura del nostro antifascismo, affinché il raccolto non ci deluda e sia sufficiente tutto l’anno».
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