Riccardo Iacona

Lezione di intervista 9: buoni consigli, cattivi esempi

12 settembre 2016

Berlinguer a Mixer

Saltata dunque la lettura di una buona intervista fatta per la carta stampata, potevo presentare ai ragazzi che seguivano il corso di giornalismo alla scuola media di Inveruno una buona intervista fatta per la televisione, nella quale, a differenza di quella che si è vista fra Giletti e Berlusconi, tanto l’intervistato quanto l’intervistatore cooperano per far comprendere a chi li ascolta cos’hanno da dire, senza che il secondo si sottragga a quel che il primo ha da chiedergli, ma anche senza che ci sia arroganza, sopraffazione e maleducazione da parte di chi conduce il gioco.

Giovanni Minoli

Avevo intitolato la slide “Due persone serie”, non riferendomi solo alle indiscutibili doti che ciascuno dei due ha avuto nel proprio ambito – Enrico Berlinguer nella politica e Giovanni Minoli nel campo della televisione (è stato lui il primo, con la trasmissione Mixer, a dare maggior ritmo, quasi incalzante, alle parole e alle immagini in tv) – ma per la specifica condotta che entrambi tengono in quella intervista.

Minoli fa domande anche scomode e personali, forzando la nota ritrosia del segretario del Partito comunista italiano, ma anche quest’ultimo non recalcitra, non si schermisce ed è – per chi come me ha avuto la fortuna di conoscerlo di persona, ma forse per tutti coloro che lo hanno ascoltato e potuto notare le espressioni del suo volto – capace di sorrisi, affabile, a tratti come preso da un candido imbarazzo, malgrado fosse un uomo che apparentemente sembrava imperscrutabile, severo e addirittura noioso.

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Lezione di intervista 8: imparando da Eugenio

10 settembre 2016

Eugenio Manca

Dall’amico Francis Haskell che, ahimè, non c’è più, nella mia scaletta preparata per la lezione sull’intervista ai “Giovani reporter” della scuola Alessandro Volta, avevo deciso di passare a un altro amico che anch’egli, ahimè, non c’è più, Eugenio Manca, del quale era da poco uscita, curata da Sergio Sergi e Carlo Ricchini, una raccolta delle sue principali interviste preparate per l’Unità e – dopo la morte di questa testata ripetutamente fatta risorgere senza più rispettarne il Dna originario, fino all’obbrobrio dei giorni nostri – per altri giornali, intitolata Non li abbiamo ascoltati. Peggio per noi, fra le quali avevo scelto quella fatta, nell’aprile del 2000, ad un grande regista italiano che era recentemente scomparso: Ettore Scola.

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Guardando Report

13 dicembre 2010

Milena Gabbanelli

Non guardo quasi mai più la televisione e vivo benissimo così. O meglio, magari non vivo proprio benissimo, ma la tv non mi manca per niente. Tant’è che non la possiedo. Ieri sera, però, ho visto, non a casa mia, l’ultima puntata del ciclo di Report. Milena Gabbanelli, e più di lei, per i miei gusti, Riccardo Iacona, sono… Lo dirò in un altro modo.

Un giorno, un paio d’anni fa, qualcuno mi ha detto: «Iacona è proprio bravo». M’è toccato rispondere: «No, non è bravo. È un giornalista». Lui e la Gabbanelli sono bravi, ma più che altro sono come dovremmo essere tutti noi cronisti, come ci avevano insegnato ad essere. Silenziosi e petulanti, tenaci e garbati, dubbiosi e determinati. Quelli che hanno portato gli schiamazzi in tv, e poi sulla carta stampata, sono, invece, come non dovremmo essere.

Penso che se la gente, tutta la gente, guardasse le trasmissioni di Iacona e della Gabbanelli, avrebbe non solo molti elementi in mano per valutare, ed anche, talvolta, per sospendere il giudizio, per restare col dubbio, ma il dubbio innestato da un tarlo, da una conoscenza. E penso che se onorevoli e senatori si occupassero di risolvere almeno un problema all’anno di quelli raccontati in quelle trasmissioni (per esempio, nella puntata di ieri, la questione tumori a Taranto), concentrando solo su quello la loro attenzione, avrebbero fatto bene il loro lavoro.

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