Un senso fra le righe
10 gennaio 2011
Era un po’ di tempo che mi interrogavo su cosa troviamo nei libri, sul perché non sempre rinveniamo in essi, fra lettori diversi, le stesse cose. Poi, in questi giorni, ho letto Il dicibile e l’indicibile di Ingeborg Bachmann, e mentre maturava un nuovo pensiero, o meglio un’impressione che tra poco metterò a fuoco e manifesterò, mi sono imbattuto, anzi, ri-imbattutto, in questa frase tratta da Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust:
«In realtà, ogni lettore, quando legge, è il lettore di se stesso. L’opera è solo una sorta di strumento ottico che lo scrittore offre al lettore per consentirgli di scoprire ciò che forse, senza il libro, non avrebbe visto in se stesso. Il riconoscimento dentro di sé, da parte del lettore, di ciò che il libro dice, è la prova della sua verità, e viceversa, almeno in una certa misura, almeno in una certa misura, giacché spesso la differenza fra i due testi può essere imputata non all’autore, ma al lettore».