Simone Weil

Un senso fra le righe

10 gennaio 2011

Ingeborg Bachmann

Era un po’ di tempo che mi interrogavo su cosa troviamo nei libri, sul perché non sempre rinveniamo in essi, fra lettori diversi, le stesse cose. Poi, in questi giorni, ho letto Il dicibile e l’indicibile di Ingeborg Bachmann, e mentre maturava un nuovo pensiero, o meglio un’impressione che tra poco metterò a fuoco e manifesterò, mi sono imbattuto, anzi, ri-imbattutto, in questa frase tratta da Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust:

«In realtà, ogni lettore, quando legge, è il lettore di se stesso. L’opera è solo una sorta di strumento ottico che lo scrittore offre al lettore per consentirgli di scoprire ciò che forse, senza il libro, non avrebbe visto in se stesso. Il riconoscimento dentro di sé, da parte del lettore, di ciò che il libro dice, è la prova della sua verità, e viceversa, almeno in una certa misura, almeno in una certa misura, giacché spesso la differenza fra i due testi può essere imputata non all’autore, ma al lettore».

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Doveri mentali

15 agosto 2010

Simone Weil

C’è chi di Facebook ne fa un uso intelligente e chi lo scialacqua, invece, per inezie insignificanti a cui la posta elettronica o gli sms potrebbero tranquillamente ovviare. In particolare apprezzo chi se ne serve come di un moltiplicatore di informazioni, suggestioni, consigli e suggerimenti, come la messa a parte di contenuti che altrimenti sarebbero difficili da recuperare, che possono sfuggire, che si rischia di non vedere, non sentire, non conoscere.

Dopo un rapido scambio di auguri ferragostani, due Aficionados come Giulia Gemignani e Dino Leone, la prima via messaggio, il secondo in bacheca, richiamano rispettivamente la mia attenzione sull’ultima scena dello splendido film del 1979 di Hal Ashby, con Peter Sellers e Shirley MacLaine, Oltre il giardino, e su un articolo di Elisabetta Rasy su Simone Weil pubblicato il 13 agosto su Il Sole 24 Ore, dal titolo Senza libertà di pensiero l’uomo è perduto

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