Stefano Rodotà

La severità smarrita

10 gennaio 2015

Da quello che ho letto, alla Camera si sta discutendo un disegno di legge di riforma delle norme relative alla diffamazione a mezzo stampa, con il quale sostanzialmente si abolirebbe il ricorso alla reclusione – ora da 6 mesi a 3 anni – nel caso un tribunale accerti che un giornalista pubblicamente, e nella fattispecie servendosi di un media capace per sua natura di espandere l’audience, “offenda l’altrui reputazione”.

Questa infatti è la definizione di “diffamazione” data dal Codice penale (art. 595), uno dei due capisaldi di quello che, finché non si siano cambiate le norme, si può o non si può fare: “l’offesa dell’altrui reputazione” arrecata “comunicando con più persone” (anche in una piazza dinanzi a vari testimoni), aggravata se effettuata “col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico”, in altre parole estendendo la platea degli uditori.

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Un indice di sinistra

15 settembre 2013

Sono stato invitato, in seguito alle mie considerazioni sull’ateismo del 22 luglio scorso, a riproporre e avviare un confronto sui temi che Repubblica ha raccolto in una serie di interviste accorpate sotto la parola chiave “Dì qualcosa di sinistra”, avviate da un articolo di Michele Serra del 16 luglio scorso. Mi ero ripromesso di rifletterci sopra ed eventualmente intervenire in questo blog sull’argomento, e così ho raccolto ad uno ad uno gli interventi pubblicati.

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Dei beni comuni

10 agosto 2010

Stefano Rodotà

Questioni come macigni quelle che Stefano Rodotà butta lì oggi su Repubblica in un articolo intitolato Se il mondo perde il senso del bene comune. Al centro dell’argomento il riconoscimento dell’acqua e dell’accesso a internet, e per il suo tramite alla conoscenza, come diritti di tutti, inalienabili, incedibili ad un proprietario che si faccia avanti.

Come dargli torto? Ed anzi io credo che abbia ragione e che ci si possa spingere anche più in là del suo ragionamento. Vsdo per punti.

1. In calce all’articolo di Rodotà c’è giustamente scritto “Riproduzione vietata” e sotto la testata del quotidiano che lo ospita «€ 1». Ripeto: giustamente. Mi sento già un po’ in colpa per aver pubblicato questa mattina sul mio blog una canzone di Alan Sorrenti pescata su YouTube senza aver corrisposto neanche un centesimo al cantante rock. Quella è farina del suo sacco e si può ragionare sul prezzo dei cd ma non immaginare che anziché al mercato debbano appartenere al popolo.

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