Perdere tempo
20 settembre 2016Alcuni giorni fa ho, affettuosamente, ma con un piglio beffardo e pieno di ironia, liquidato mio cugino e i suoi dolorosi avvitamenti su se stesso nei quali credo inconsciamente vorrebbe risucchiare anche me, dicendogli che «non ho tempo da perdere» e sono certo che in lui questa frase, almeno in parte, sia echeggiata come una dichiarazione di non-amore, un chissenefrega scaturito dalle viscere e praticato con determinazione.
La realtà è che intendevo scuoterlo, o meglio scuoterlo con mezzi diversi da quelli adottati fino a quel momento, sostituendo la disponibilità all’ascolto, la manifestazione della vicinanza, l’offerta dell’empatia, l’uso del raziocinio per individuare ipotesi e percorsi e opportunità da sperimentare per sottrarsi all’imbuto nel quale si crogiola da decenni con un appello alla pratica spicciola; con un autoritario invito a far valere quello che fai in questo preciso istante o un attimo dopo appena, non la promessa di quello che sarà e il proposito futuro; con il promemoria che essendo giunti entrambi alla soglia dei sessant’anni non possiamo dilatare l’orizzonte oltre modo fingendo di aver dinanzi l’illimitato o il rinviabile come poteva essere quando si scorrazzava scanzonati con i pantaloncini corti prima o i blue jeans poi; con la sollecitazione ad avere presente che anche nel presente c’è la mia presenza ed il mio essere presente, che sottilmente cerco di dire come una sorta di ribellione all’assenza, al non esserci, al distrarsi, al perdersi, allo scomparire.