La politica ritrovata. VI. L’insicurezza è sicura
22 novembre 2010
VI. L’insicurezza è sicura
Quando si afferma che la politica ha a che fare con il male inteso «come possibilità di sofferenza e di morte, di dolore e paura [...], e come permanente stato di guerra, in cui “ogni uomo è nemico ad ogni uomo” e ognuno vive “senz’altra sicurezza di quella che la propria forza e la propria inventiva potrà fornire”»[1], bisogna avere la consapevolezza che la politica non può impedire il male. La morte infatti può dipendere dalla politica, e qui la politica può ritrarsi, astenersi assolutamente dal causare morte, sia che essa costituisca un fine, quanto un mezzo. Ma la morte non dipende solo da essa, e perciò la politica deve accettare come inevitabile la morte e non porsi obiettivi che non siano alla propria portata come quelli derivanti dall’ambizione di impedire la morte. Quindi non può porsi nemmeno obiettivi – fini – che prevedano in assoluto di evitare la sofferenza, il dolore, la paura. Parimenti non può porsi l’obiettivo di instaurare la felicità o stati simili che prevedano l’assenza di sofferenza, dolore e paura, non essendo questi interamente derivabili o prescrivibili dalla politica.