Walter Veltroni
5 luglio 2015
Ci sono ricorrenze che hanno tutta l’aria di essere solo escamotage per strappare, a cura dell’ufficio stampa e promozione e della benevolenza del redattore di turno, il quantitativo maggiore possibile di quell’unità di misura che nelle redazioni dei giornali prende il nome di “modulo”: rettangolini larghi una colonna e solitamente alti un paio di righe nei quali è suddivisa la pagina di un giornale nel suo formato in scala detto menabò e con cui si conteggia lo spazio acquistato da un cliente per pubblicizzare i suoi prodotti.
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27 marzo 2015
Com’è lontano quel 7 maggio 2010 quando accesi un fuoco e, sventolando maldestramente una coperta come ancora non avevo imparato bene a fare, levai in cielo segnali di fumo tentando di chiamare a raccolta La tribù di Geronimo. Così si intitolava uno dei primi post pubblicati in questo blog, con cui annunciavo che di lì a qualche giorno i pellerossa che avevano scorrazzato nella prateria de l’Unità si sarebbero ritrovati per festeggiare un gran capo indiano in procinto di compiere 90 anni.
Bruno Schacerl
Quel leggendario guerriero, Geronimo, in realtà si chiamava Bruno Schacherl e per rendergli i dovuti onori si spinsero fin qui, in una storica casa del popolo fiorentina, due direttore del quotidiano comunista del calibro di Emanuele Macaluso e, soprattutto – lucidissima mente che testimonia quanto sia stolto chi vuol rottamare gli anziani – Alfredo Reichlin. Quest’ultimo è stato senz’altro quello che ha firmato la mia lettera di assunzione, essendo stato al timone del giornale fondato da Antonio Gramsci dal 1977 al 1981, quando appunto ebbi la fortuna di iniziare a lavorare lì; l’altro, Macaluso, deve avermi invece promosso caposervizio avendo diretto l’organo del Partito comunista, dopo l’infelice parentesi di Claudio Petruccioli con lo scivolone del caso Cirillo, dal 1982 al 1986.
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17 marzo 2015
Enrico Berlinguer in visita a l'Unità
Vincenzo “Vicè” Vasile, illustre collega esperto in mafia, trame e misteri d’Italia vari, fine conoscitore di quella melma che collegava e collega parte della politica alla delinquenza e al malaffare, su Facebook cacchio cacchio se n’è venuto fuori con queste striminzite due righe: «questo Gramsci non lo volete nella nuova L’Unità per un “fatto politico”, o perché sarebbe il ventiseiesimo oltre la quota concordata dal Cdr?».
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25 dicembre 2013
Walter Veltroni
Su Il Fatto Quotidiano, del 21 dicembre Andrea Scanzi ha intervistato Walter Veltroni (Certo. La politica è una missione laica, nobilissima. Che Berlinguer ha perfettamente incarnato) e la notizia, in altre parole la ragione per cui l’intervista è stata fatta, è contenuta alla fine del cappello iniziale e nella prima risposta: l’ex direttore de l’Unità, vicepremier, sindaco di Roma, segretario del Pd sta per terminare un film dedicato a Berlinguer.
«Si intitolerà Quando c’era Berlinguer – dice Veltroni – e ha tre piani narrativi: immagini di repertorio anche inedite; interviste; e riprese da me effettuate, però senza attori. Non so se uscirà anche al cinema, di sicuro verrà trasmesso a giugno da Sky per il trentennale della scomparsa».
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22 agosto 2012
Giulietta Masina, una delle 101 bolognesi raccontate da Serena Bersani
Dopo domani sera, venerdì 24 agosto, alle 21, alla libreria della Festa al Parco Nord di Bologna, che, da quel che ho capito, lì si chiama ancora Festa de l’Unità, Mara Cinquepalmi e Davide Di Noi presentano il libro 101 donne che hanno fatto grande Bologna (Newton Compton, pp. 288, € 14,90). L’ha scritto Serena Bersani.
Quando arrivai a Bologna nel gennaio del 1994, mandato da Walter Veltroni a rimotivare una redazione che, dopo antichi fasti, era lacerata, rancorosa e demotivata, mi fu detto che la cronaca nera spicciola, il giro di tutti i giorni in Questura, era affidato a una collaboratrice esterna, la quale, ovviamente, di lì a poco avrebbe potuto far causa al giornale e pretendere di essere assunta, nel momento in cui si cercava di far tornare i conti di un giornale su cui gravavano (e sarebbero gravate ancora) alcune miopie manageriali, la grandeur di qualche direttore più attento al proprio futuro politico che alla salvaguardia di un importante mezzo di informazione capace di orientare il popolo di sinistra, il gioco dei pani e dei pesci con le finanze di un partito che da poco aveva visto chiudersi la fontana rifornita ad Est.
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24 agosto 2010
«Non possiamo pensare che mentre il mondo si gioca al tavolo del poker le quote dello sviluppo, noi organizziamo un tressette tra amici con in palio una consumazione al bar». In un articolo sul Corriere della Sera di oggi, intitolato L’ideologia a tavola, di cui comprendo e apprezzo lo spirito, ma di cui non condivido il suggerimento di fondo, Dario Di Vico si avvale di questa riuscita metafora col tavolo verde, del quale purtroppo non ho dimestichezza.
Joseph Roth
La frase mi ricorda il motivo più volte ripetuto da Joseph Roth in quel capolavoro del 1938 che è Die Kapuzinergruft, da noi tradotto in La cripta dei cappuccini, e pubblicato da Adelphi: «Sopra i bicchieri dai quali spavaldamente bevevamo, la morte invisibile incrociava già le sue mani ossute».
Più prosaicamente quel genio della matita che è Altan ha espresso più volte analogo pensiero facendoci vedere la differenza fisica tra una pagliuzza e un trave e i luoghi del corpo dove essi possono essere conficcati.
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1 luglio 2010
La strage dei Georgofili a Firenze
I giornali oggi riferiscono, ma con un certo scetticismo, delle dichiarazioni del presidente della Commissione antimafia Giuseppe Pisanu in merito alle stragi di mafia dei primi anni Novanta. Lo scetticismo si limita a far sentire anche il controcanto, chi cioè, pur non escludendo contaminazioni, coperture e misteriose relazioni, invoca la cautela nel giudizio e richiama all’obiettività dei fatti così come essi traspaiono dagli atti giudiziari. La prudenza non è tanto quella di Vincenzo Scotti, ministro dell’interno nel 1992, ma significativamente quella del procuratore nazionale antimafia Piero Grasso che sul Corriere della Sera afferma: «Le teorie sono belle, ma abbiamo bisogno delle prove. Le ipotesi costruite su tanti fatti non hanno consentito di trovare la prova penale, che è personale».
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12 maggio 2010
Alla redazione di via Barberia
Pietro Spataro, a cui Concita De Gregorio ha affidato il coordinamento delle iniziative speciali de l’Unità – in genere un ruolo per togliersi di torno qualcuno, ci son passato anch’io e conosco qualche altro collega in analoga posizione –, dovrebbe essere stato l’ideatore dei nuovi dorsi regionali del giornale fondato da Gramsci nel 1924, un tempo organo del Partito comunista italiano fin che questi non defunse. Sono dei tuorli che stanno nell’albume del giornale nazionale a cui fa da guscio la prima pagina, con gli strilli, i richiami e l’apertura, quasi sempre un’immagine e un titolo più che un testo – ah immagine, immagine!
Pietro Spataro è anche il nocciolo di un frutto che dentro quel giornale sta cercando, mi sa un po’ a fatica, di dar un po’ di spazio alla memoria, al ricordo, alla riconoscenza, alle cose come stanno non sempre e solo come uno vorrebbe che stessero o siano state. Intendo dire che Pietro è quello che dentro al giornale – non fuori come noi –, presumo per un debito di riconoscenza e senso di restituzione, sta cercando di dar fiato a una testimonianza dinanzi a un uomo che ci ha insegnato molto, che lo si abbia conosciuto personalmente o solo letto come me: Bruno Schacherl.
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7 maggio 2010
Bruno Schacherl
Il 14 maggio, venerdì prossimo, alle ore 16, lo stesso giorno in cui Ledo Gori, capo di Gabinetto del Presidente Enrico Rossi, mi dirà come potrò in futuro esser utile loro e al mio decennale datore di lavoro, al glorioso circolo Vie Nuove in viale Giannotti a Firenze, si festeggeranno i 90 anni di Bruno Schacherl, cognome impronunciabile ma pronunciato benissimo da una sterminata selva di suoi estimatori.
Personalmente ho iniziato a stimarlo leggendo un settimanale, di cui si sente una grande mancanza, sul quale leggevo, leggevo, leggevo quando andavo al liceo e all’Università: Rinascita. Ne possiedo, ma rigorosamente a casa dell’ex moglie, la collezione intera, dal primo all’ultimo numero, così come de Il Politecnico fondato da Elio Vittorini, di cui Palmiro Togliatti, che invece aveva fondato Rinascita, ebbe a dire: «Vittorini se n’è ‘ghiuto e soli ci ha lasciati». Il cinismo d’alemiano e certo disprezzo per l’intelletto affonda lì, anche se io comprendo i difetti di questi sporchi intellettuali come me che, qualcuno, vivente e amministrante un po’ provincialmente, ancora vorrebbe mandarci in Siberia. Direi che all’epoca Bruno Schacherl, nato a Fiume nel 1920, studente prima all’Ateneo di Padova ma poi laureatosi a Firenze con Giuseppe de Robertis, di Rinascita fosse il caporedattore centrale, e tra i suoi grafici ci fosse Maria Luisa Grossi che sarà presente alla festa e fosse ancora tra noi Ilario. Lo saprebbe dire con maggior precisione Carlo Ricchini, al quale devo la maggior parte delle informazioni che sto scrivendo e che è stato il primo caporedattore centrale de l’Unità a cui la sera, quand’ero di sommario, chiedevo i titoli della prima pagina per farli stampare sulla locandina dal mitico sor-Mario che faceva, appunto il sommario. Mi son preso tanti di quei vaffanculo che la metà basterebbero, ma qualcuno, Carlo, te n’ho anche mandato, o forse erano accidenti.
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