Presunzioni editoriali
26 marzo 2020Se non avessi la nevralgia posterpetica scriverei un romanzo intitolato Manana.
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Se non avessi la nevralgia posterpetica scriverei un romanzo intitolato Manana.
Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha dubbi che ci sia un diritto alla morte. Lo ha affermato in una intervista pubblica a Ceglie Messapica di cui dà conto questo take dell’Ansa.
Pare il suo sia stato un intervento “da giurista e da cattolico”. Bene. Allora bisogna che affermi di non aver dubbi che esista un diritto al dolore, alla sofferenza, alla disperazione, alla tortura prolungata.
Quanto alla sua affermazione che «se si stabilisse un diritto alla morte quantomeno ai medici dovrebbe essere garantito il diritto all’obiezione», bisognerebbe che altrettanto chiaramente affermasse che tuttavia esiste un dovere per lo Stato di garantire che qualche medico garantisca il diritto alla morte senza appellarsi al diritto all’obiezione, andando poi magari a praticare l’eutanasia dietro compenso in Svizzera come già avviene per l’aborto.
Il racconto Sempre più verso Occidente– che dà il titolo al mio primo lavoro di scrittura “in proprio” e non “per conto terzi”, una raccolta di racconti – è preceduto da una breve introduzione in cui si riferisce della breve corrispondenza intercorsa tra me e Primo Levi quando il 21 marzo del 1986 mi decisi a spedirgli appunto quel testo in cui prospettavo un andamento diverso nell’inquietante storia da lui narrata in Vizio di forma, il secondo volume “non-memorialistico” e apparentemente fantascientifico, uscito da Einaudi nel 1971.
L’argomento centrale di Verso occidente, e quindi anche della mia successiva incursione in quella trama, è – per essere molto sintetici, essendoci molto altro in quelle pagine – il suicidio, il diritto umano più smaccatamente non ancora riconosciuto dalle Carte che regolano la convivenza degli individui sul pianeta da essi immeritatamente avuto in eredità.
Nell’appassionata biografia di Primo Levi che TESSERE ha pubblicato nel 2017 – trentennale della morte dello scrittore torinese, mentre quest’anno si ricordano i cent’anni dalla sua nascita – notavo che, malgrado i «quasi 300 articoli pubblicati su una miriade di testate – fra le quali spicca la piemontesissima, anzi torinesissima “La Stampa” –», a lui non era venuto in mente di chiedere l’iscrizione all’Albo dei pubblicisti e nessuno evidentemente gliel’aveva proposto.
All’epoca era rimasta nella mia penna la richiesta che quella onorificenza – l’iscrizione d’ufficio all’Ordine dei giornalisti – gli venisse conferita in memoria, postuma e honoris causa.
Ora che metto a fuoco l’obiettivo e se ne presenta l’occasione, avanzo la proposta, me ne faccio promotore, invito chi di dovere a compiere i propri passi e a far quanto gli compete.
“Herencia y Co-herencia“, eredità e coerenza, è un programma che va in onda ogni sabato alle 14 su Radio Universidad de Chile, l’emittente dell’Ateneo di Santiago che trasmette sulle frequenze medie 102.5.
In tedesco Doppelgänger significa sosia, e un sosia – com’era il servo di Anfitrione di cui Mercurio, generando equivoci e scene comiche, prende le sembianze nella commedia di Plauto Amphitruo (e poi in quella di Molière Amphitryon) – è una persona talmente somigliante a un’altra da poter essere scambiata per essa. Un “doppio”, insomma, un gemello, qualcuno che può prendere il proprio posto e fingersi noi stessi.
Ne L’altrui mestiere, in un brano intitolato Dello scrivere oscuro, Primo Levi afferma: «Siamo fatti di Es e di carne, ed inoltre di acidi nucleici, di tradizioni, di ormoni, di esperienze e traumi remoti e prossimi; perciò siamo condannati a trascinarci dietro, dalla culla alla tomba, un Doppelgänger, un fratello muto e senza volto, che pure è corresponsabile delle nostre azioni, quindi anche delle nostre pagine».
“Strisciarossa” ha pubblicato col titolo Storia di Alfie e della mia Erica. Di compassione e di saggezza il più difficile articolo che abbia mai scritto in vita mia. Lo si può leggere qui.
«Compassionevole saggezza». Sono le ultime parole, prese in prestito dal pensiero di Francesco Bergoglio, del prezioso articolo di Pietro Greco La malattia, il dolore, la morte. Cosa c’è dietro la storia del piccolo Alfie uscito nei giorni scorsi su “Strisciarossa” dopo l’articolo che nei dintorni dello stesso argomento e delle nostre pericolose distrazioni avevo poco prima scritto io.
Prezioso articolo perché – con la dovuta delicatezza, l’animo di chi è generoso e solidale e la riconosciuta competenza – spiega inequivocabilmente perché sarebbe stato più «saggiamente compassionevole» che Alfie Evans finisse di soffrire e perché i medici che suggerivano di staccare la spina di fatto abbiano avuto più a cuore la poca vita rimasta a disposizione del piccolo di quanto emergesse invece dal disperato e comprensibile (cum-prehendo) dolore dei suoi genitori.
Brucio,
ardo,
implodo,
pulso,
innesco reazioni chimiche,
trasformo materia,
sprigiono energia,
scateno forze,
vivo,
muoio,
amo,
comunico,
mi relaziono.
Ecco.
Questo l’articolo pubblicato oggi da “Strisciarossa” il quotidiano on line che raccoglie molti ex colleghi de “l’Unità”, con il titolo Il piccolo Alfie e le nostre pericolose distrazioni:
Quanto profondo sia lo sfascio culturale, ancor prima che politico, in cui, ciascuno assumendosi le proprie responsabilità, ci siamo cacciati – e dal quale risulta davvero difficile sperare si possa uscire se non si tenterà di innescare una copernicana rivoluzione culturale che rifondi i parametri dello stare insieme, del vivere in società e del confronto politico ed ideale – lo dimostra la lettura delle prime pagine dei giornali di ieri, martedì 24 aprile, del cui sfoglio riferirò tra un istante, chiedendomi prima quanto appassionante sarebbe stata ieri la riunione di redazione a “l’Unità” se ancora esistesse questa testata e più che altro lo spirito collettivo con cui appassionatamente ci ho lavorato per 25 anni, fino a quando nel 2000 ci mandarono tutti a casa ed iniziò la diaspora che fortunatamente non ha impedito di conservare la stima, l’affetto e l’orgoglio dell’appartenenza.
Mi ha colpito la frase di un impareggiabile amico ultra-attento ai meccanismi della comunicazione (tanto da essersi laureato con una tesi su Watzlawick, se non vado errando) e alle modificazioni che le nuove tecnologie introducono nei comportamenti umani riguardo l’impiego dei social. Discutendo con me e con altri ha notato che «tra tutto il male che molti dicono esserci in questi social c’è il bello di poter concedere al nostro narcisismo autoriale una frammentarietà disimpegnata che si confronta solo con noi stessi senza deludere un amico».
«Grande è la confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente», diceva Mao Tze Tung e la mia generazione – tacciata di tutti i mali che oggi affliggono la Terra, come se non avesse tentato di far andare le cose in un’altra direzione (che poi sia stata sconfitta ed abbia dovuto capitolare è altra cosa) – ci ha creduto.
Fra una decina di giorni si vota e nessuno è venuto a chiedermi di votare per lui. A nessuno interessa, dunque, il mio voto e, come avviene per me, presumo avvenga per chiunque altro. Ne desumo perciò che ai 42 partiti che si presentano alle elezioni dopo una nauseabonda, pluridecennale, ingegneristica diatriba sulla governabilità, i premi di maggioranza e i pregi del bipolarismo, non interessi il voto di tutti quelli che vanno a votare.
Molti opinionisti hanno notato che nella campagna elettorale per le elezioni politiche del 4 marzo prossimo il commento della cronaca nera ha soppiantato la discussione sui programmi e le intenzioni di governo. Con toni da “grand guignol” i media hanno amplificato questa spasmodica attenzione della politica.
Risultato: paura e sicurezza sono l’argomento “principe” intorno al quale ci si interroga in attesa dell’apertura dei seggi, in virtù di un paradosso. I dati infatti dicono che gli omicidi nel 2016 sono stati 400, circa 4 volte meno di quelli degli anni Novanta: 0,7 omicidi ogni 100mila abitanti secondo l’Istat, per la quale i furti in abitazione diminuiscono dopo anni in cui sono stati in crescita, mentre restano stazionari borseggi e rapine.
Anche i dati del ministero dell’Interno relativi al 2016 dicono che si è ridotto il numero di omicidi, rapine, violenze sessuali, furti ed estorsioni, con una diminuzione di reati del 16,2% in meno rispetto all’anno precedente.
A Marco Cappato, militante radicale impegnato nell’associazione Luca Coscioni, va la mia totale gratitudine.
Gli sono grato perché si batte per un diritto di cui vorrei beneficiare: il diritto di disporre del mio corpo come meglio credo in qualsiasi momento senza che vi siano impedimenti e che altri possano aver legge su di esso. Il diritto cioè di potermene andare quando ritengo sia giunto il momento, nel pieno possesso delle mie facoltà o, qualora mi trovi irrimediabilmente compromesso e tenuto in vita artificialmente, anche senza più poter agire per lasciare questa terra.
Detesto quanto è “anti”. Penso valga più la pena essere a favore di qualcosa che contro. Perciò, per quanto lo sia, non mi piace definirmi “antifascista”. Questa è l’opzione che l’Associazione nazionale dei partigiani d’Italia offre a quanti non hanno fatto la Resistenza ma condividono e intendono tener desti i valori che l’hanno ispirata, cioè il desiderio di pace, giustizia, equità.
Devo delle scuse a quanti hanno partecipato alla presentazione della mia appassionata biografia di Primo Levi Questo è un uomo, che, per interessamento del mio insostituibile amico Gian Luca Corradi e di Silvia Alessandri, vicedirettrice della Biblioteca Nazionale di Firenze e convinta socia di TESSERE, si è tenuta martedì 30 gennaio alla Biblioteca Nazionale con la partecipazione appunto del suo direttore, Luca Bellingeri, di Renzo Bandinelli, chimico e rappresentante della Comunità ebraica di Firenze, di Maria Cristina Carratù, giornalista di “Repubblica” con cui ho condiviso molti anni fa un bel pezzo della mia carriera professionale quando entrambi seguivamo la politica al Comune di Firenze, ed al professor Massimo Bucciantini, docente all’Università di Siena ed autore di vari bei libri tra cui Esperimento Auschwitz dedicato all’approccio scientifico impiegato da Primo Levi nella sua narrativa e al rapporto fra lo scrittore torinese e Franco Basaglia, l’uomo che vivaddio ha sradicato l’esistenza dei manicomi.
È prevista per maggio 2018 la pubblicazione della traduzione francese di Io la salverò, signorina Else. Questa la scheda editoriale del libro:
Tornando a casa ieri sera, dopo la presentazione del libro del senatore Vannino Chiti sul futuro della democrazia, in autobus ho assistito a una scena molto simile a quella che il 1º dicembre 1955, a Montgomery, capitale dell’Alabama, patì Rosa Parks.
Forse tutti sanno chi è Rosa Parks. A lei la regista Julie Dash ha dedicato nel 2002 un film intitolato The Rosa Parks Story, interpretato da Angela Bassett e un altro film del 1990 La lunga strada verso casa con Whoopi Goldberg e la regia di Richard Pearce si ispira alla sua storia.
Io ho avuto la fortuna di vedere il mio amico Italo Dall’Orto portare in scena la pièce teatrale L’autobus di Rosa, credo nel 2012, ed è stato emozionante. Un libro illustrato per bambini scritto da Fabrizio Silei e illustrato da Maurizio Quarello, porta questo stesso titolo e lo ha pubblicato la casa editrice Orecchio acerbo in collaborazione con Amnesty International.
Chi di gelosia perisce, di gelosia ferisce.
Non sono un esperto di economia e non maneggio bene la matematica, ma qualche pensiero riesco ad articolarlo vedendo dei numeri che parlano da soli.
Apprendo da un bell’articolo di Alessandro Gilioli pubblicato su “l’Espresso” nel dicembre dello scorso anno – Il reddito è il minimo, ma non basta – che una ricerca svolta qualche anno fa da Carl Benedikt Frey e Michael A. Osborne dell’università di Oxford ha messo in evidenza come «oggi le tre maggiori società della Silicon Valley capitalizzano in Borsa 1.090 miliardi di dollari con 137 mila dipendenti, mentre 25 anni fa le tre maggiori aziende manifatturiere americane capitalizzavano in tutto 36 miliardi di dollari impiegando 1,2 milioni di lavoratori».
Su “Succedeoggi” prima e su TESSERE poi, il mio racconto inedito, Il Periodo, scritto fra il 1993 e il 1994, e inserito nella raccolta ancora in attesa di pubblicazione, Fatti di cronaca. Nel sito cugino di «informazione della cultura quotidiana», è stato illustrato con il dipinto Madre e figlia, di Pablo Picasso del 1902. Eccolo:
Il Periodo
«Lui appuntava con la sua M quelle intrusioni violente nel gioioso andamento del loro amore. Sfogliava le pagine contando, senza badare al nome dei giorni, alla data che compariva in alto, al santo consacrato»
Io non sono contrario alle “ronde”, a quel proporsi dei cittadini “uniti” per farsi carico di un problema della collettività, cui lo Stato, che quella collettività è tenuto a proteggere, da solo non è pienamente in grado di farsi carico e risolvere.
Non sono contrario alle “ronde” purché svolgano la loro attività in stretto contatto con le forze dell’ordine preposte a garantire quella sicurezza, anzi lo facciano sotto la loro egida, il loro controllo, la loro supervisione, per così dire “prendendo ordini” da chi indossa la divisa.
Sulla sua bacheca di Facebook, il 6 agosto scorso, Oreste Pivetta – colto collega della ex redazione de “l’Unità” di Milano – ha acutamente e con un briciolo di malizia segnalato la bizzarra lettera e l’ancor più bizzarra risposta, pubblicate nella rubrica della corrispondenza con i lettori del “Corriere della Sera” il giorno prima, sabato 5 agosto 2017, intitolate Montanelli e Gramsci.
La notizia del ritrovamento in un cassonetto a Roma, nel quartiere Parioli, di due gambe di donna presumibilmente tagliati a colpi d’ascia, mi induce a pubblicare un racconto, compreso in una raccolta non ancora pubblicata, che ho scritto nell’ottobre del 1997, prendendo spunto da un fatto di cronaca avvenuto a Reggio Emilia alla fine degli anni Novanta a cui “Mattina”, il quotidiano locale distribuito insieme a “l’Unità” di cui ero vicedirettore, dette ampio spazio. Si intitola La gamba.
Sarà per me benvenuto ogni giudizio di critica scientifica. Per quanto riguarda i pregiudizi della cosiddetta opinione pubblica, alla quale non ho mai fatto concessioni, per me vale sempre il motto del grande fiorentino:
Segui il tuo corso, e lascia dir le genti!*
Londra, 25 luglio 1867
* In italiano nel testo.
KARL MARX, dalla Prefazione alla prima edizione del Capitale
Poche cose mi indignano – anzi, mi irritano, e spiegherò poi la differenza – quanto l’insulto alla miseria, lo spregio alla povertà, l’offesa dell’indigenza. Poche quanto lo sperpero dinanzi alla mancanza del necessario, l’ignavia e l’irresponsabilità nei riguardi dei propri beni e della loro potenziale capacità di moltiplicare ricchezza, accrescerla e, per questa via, possibilmente condividerla, spartirla, redistribuirla. Indignazione e irritazione che si dilatano se quegli sprechi e quelle dissipazioni, se quel cicaleggiare, provengono da chi ha fatto vanto di libertarismo e fede alla rivoluzione ed ancor più da chi stigmatizza i comportamenti altrui capaci di provocar sofferenza.
Mi indignano e mi irritano tali comportamenti forse solo meno della sopraffazione verso chi patisce un handicap, è, per ragioni fisiche o mentali, in difficoltà a condurre pienamente una vita come fanno molti altri, la maggior parte. O del sopruso nei confronti del più debole, il bambino, l’anziano, il diseredato.
Ho ricevuto generose risposte ad un breve “post” scritto sulla mia bacheca di Facebook alcuni giorni fa, che merita di essere riportato per riflettere nuovamente su un tema dal quale non ci si può sottrarre: «Giustamente la banca mi chiede la sollecita copertura dello scoperto di 100 euro rispetto al fido che, data la mia affidabilità, mi è stato concesso, ma contemporaneamente mi dicono che la restituzione di alcune migliaia di euro da parte dell’Agenzia delle entrate a mio credito, in virtù della Dichiarazione dei redditi del 2016, avverrà non prima di 6 e non oltre 18 mesi da ora. C’è qualcosa che non mi torna, anzi mi torna perfettamente».
Più di una persona si è offerta per farmi un prestito o forse anche, non lo escludo, una donazione, ed ovviamente li ringrazio tutti davvero con sentimento, come si sarebbe detto un tempo «con il cuore in mano».
Un pilastro della consapevolezza umana poggia sul fatto di porsi delle domande e darsi delle risposte, sul fatto, cioè, di non attendere che ci vengano poste e di dover trovare qualche spiegazione da dare a quanto sollecitato. Solo la furbizia opera ingegnandosi sempre una qualsivoglia replica alle questioni poste da altri, indipendentemente dalla loro validità. Eppure, questo monologo interiore, che caratterizza il saggio e lo distingue dall’opportunista, lo colloca in un’area simile a quella entro cui si muove l’individuo che ode le voci e per ciò è sul punto di delirare.
Se Gregory Bateson, Paul Watzlawick e gli altri studiosi della scuola di Palo Alto avessero potuto servirsi per le loro ricerche delle chat (chiacchierata in inglese) che Facebook, Messenger, WhatsApp e altri social mettono a disposizione, meglio di quanto hanno fatto, scrivendo ad esempio la Pragmatica della comunicazione umana, avrebbero potuto decifrare e rendere palesi a tutti i trabocchetti che anche inconsciamente attiviamo come apriamo bocca, digitiamo su una tastiera o manifestiamo con una smorfia, un sospiro, l’alzata di un ciglio, il posizionamento delle braccia conserte, tre puntini di sospensione.
Sono stato invitato a partecipare – e ringrazio chi l’ha fatto soprattutto perché so essere persona degna di rispetto, che rispetto mi ha sempre portato – ad un convegno che si terrà sabato prossimo, il 27 maggio, a partire dalle 15.30, al Palazzo degli Affari di Firenze in Piazza Adua. Da lungo tempo in gestazione, è stato organizzato da tre Logge fiorentine – la “Avvenire”, la Giuseppe Dolfi e la Fedeli d’Amore – del Grande Oriente d’Italia, una delle due branche della Massoneria ufficiale italiana, nota anche come “obbedienza di Palazzo Giustiniani” per distinguerla dall’“obbedienza di Piazza del Gesù”. Il convegno ha per titolo Pregiudizio e chiarezza, gli elenchi dei massoni vent’anni dopo.
Gli elenchi a cui si fa riferimento sono quelli che comparvero nelle edicole della Toscana il 13 ottobre 1993, per la precisione 25 anni fa, in un libercolo di 112 pagine allegato al n. 233 del quotidiano “l’Unità”, il cui colophon precisava: coordinamento di Gabriele Capelli e Daniele Pugliese. Quel libretto conteneva appunto tutti i nomi degli iscritti alle Logge massoniche di Firenze e Prato, venuti all’epoca in possesso della redazione di Firenze del quotidiano fondato da Antonio Gramsci e diretto da Walter Veltroni, di cui allora ero vicecaporedattore ma con la qualifica di caposervizio.
Marco Belpoliti e Anna Benedetti alla presentazione di "Primo Levi di fronte e di profilo". Foto di Andrea Ruggeri (andrea@nonamephoto.it)
Non mi era mai capitato – eppure non è attività che non abbia praticato nella mia ormai lunga vita – di vedere, alla presentazione di un libro, l’autore “commuoversi” per il contenuto di quanto ha scritto, diciamo così “per l’oggetto” della sua narrazione.
Ma c’è sempre una prima volta. A Marco Belpoliti – tenace curatore delle Opere di Primo Levi e adesso autore di 736 magiche, intriganti e preziose pagine intitolate Primo Levi di fronte e di profilo che Guanda ha mandato in libreria un anno e mezzo fa, ospite ieri con Giovanni Falaschi della rassegna “Leggere per non dimenticare”, da molti anni prestigiosa vetrina della migliore editoria messa in piedi da Anna Benedetti – si è spezzata la voce facendo un inciso sulla poco esplorata attività poetica di Primo Levi, quei 45 componimenti in versi contenuti in Ad ora incerta, edizione Garzanti perché Einaudi li snobbò, più gli 11 ripescati proprio da Belpoliti nelle Opere del 1988. «Le poesie sono il grido di dolore di Primo Levi», ha detto quasi facendo fatica a pronunciare quelle parole.
Devo innanzitutto delle scuse ai miei lettori per la prolungata assenza da questo blog: è dovuta agli impegni che ho preso per far nascere TESSERE – l’associazione, casa editrice e rivista culturale di cui avevo dato conto nel penultimo post del 14 gennaio scorso – e per dar vita ad un’altra associazione, Sotto la Mole, che tenta di salvaguardare la memoria della stampa nata per iniziativa del Partito comunista italiano, alla quale avevo fatto accenno in un articolo del 25 novembre 2016 intitolato La tela di Vittorio per ricordare Sermonti e il suo rapporto con l’Unità (che peccato non disporre di link in rete a cui collegare questo prestigioso nome!), iniziato per volontà di Alfredo Reichlin, il due volte direttore del giornale fondato da Antonio Gramsci: dal 16 gennaio 1957, prima che io nascessi, al 9 marzo 1962, e poi dal 14 maggio 1977 al 5 ottobre 1981; e poi ancora direttore di Rinascita dal 1975 al 1977.
Reichlin è morto la notte scorsa, ed è stato proprio lui a firmare la lettera di assunzione con cui ho potuto realizzare il mio sogno giovanile rimasto immutato finora e, a questo punto, credo fin che campo: fare il giornalista proprio in quel giornale o, in alternativa, a Rinascita.
Quelli che hanno capito cos’è un aforisma dopo che Facebook ha ingrandito il corpo dei post brevi.
Questo il mio articolo su www.tessere.org per inaugurare la nascita della rivista TESSERE.
TESSERE ha come primo scopo statutario quello di «contribuire alla promozione e alla diffusione del sapere e della cultura». I quali, senza memoria, sono impossibili. Perciò il tema della memoria, declinato in tutti i suoi possibili aspetti, è e sarà un tema centrale dell’iniziativa dell’Associazione ed in particolare della rivista culturale che sta per nascere in questo sito.
La prima rubrica di questa rivista nasce proprio oggi e si chiama “Memorie”. E nasce impegnandosi a dare conto, per quanto possibile, di tutte le iniziative che vengono organizzate in occasione del Giorno della Memoria il 27 gennaio.
Un altro articolo spiega che cos’è questa data e perché è stata scelta e perché è importante ricordarla e ricordare quanto essa vuol preservare all’oblio.
Questo il comunicato stampa diffuso il 12 gennaio per annunciare l’avvio della rivista on line TESSERE con una rubrica intitolata “Memorie”, per ora dedicata a dare conto di tutte le iniziative che vengono organizzate in vista del 27 gennaio prossimo, Giorno della Memoria.
TESSERE diventa anche una rivista on line
Nasce con la rubrica dedicata agli eventi del Giorno della Memoria in Italia
Un luogo dove raccogliere tutte le iniziative che in Italia vengono organizzate in occasione del Giorno della Memoria. È il sito www.tessere.org inaugurato appena un mese fa, nella giornata mondiale dei diritti umani, dall’omonima associazione culturale e casa editrice messa in piedi da Daniele Pugliese, ex giornalista de l’Unità e autore di saggi e opere di narrativa ben accolti dalla critica.
Le pur molte e capillari manifestazioni per il 27 gennaio, data in cui fu liberato il Lager di Auschwitz e con cui si celebra il ricordo della Shoa, rischiano di non dare il senso dell’ancora viva volontà di non dimenticare il genocidio ebraico e, più in generale, l’orrore delle persecuzioni razziali, politiche e più in generale basate sui pregiudizi.
I genitori del piccolo continuavano a muoversi – solo apparentemente felici, scambiandosi sorrisetti, gesti di cortesia, segni d’intimità, messaggi di appartenenza, senso di superiorità – quando il concerto della violoncellista nell’affollato e ristretto elitario spazio aperto a tutti non era ancora cominciato.
Ma anche dopo che un garbato annuncio al microfono aveva chiesto a tutti di spegnere i cellulari e far silenzio, ché altrimenti, nell’improprio ambiente all’uopo concesso, si sarebbe persa la bella, ma pur flebile voce della musicista – un dono di natura nell’ugola, evidentemente coltivato con lo studio della musica e di come il respiro debba accompagnare quella straordinaria predisposizione – accompagnata dalle note del prezioso strumento ad archi, trattenuto fra gambe e braccia e sollecitato dall’archetto o più spesso solo pizzicato.
Parafrasando Kennedy: non pensare a quello che gli altri possono fare per te, pensa a quello che tu puoi fare per gli altri (anche se qualcosa hai già fatto).
Uno dei dieci libri che credo salverei in caso di diluvio universale si intitola Guida all’uso delle parole. Come parlare e scrivere semplice e preciso. Uno stile italiano per capire e farsi capire, e lo hanno pubblicato nel 1980 nella bella e intelligente collana “Libri di base” gli Editori Riuniti. Il libro è stato scritto da Tullio De Mauro, il linguista scomparso oggi a cui dobbiamo molto e sarebbe stato bello avessimo potuto dover ancora molto.
Perché lo salverei non credo abbia bisogno di spiegazioni, anche se non spiegarlo può risultare un modo per non farsi capire. Non importa. Cercate il libro, anche se è introvabile, e mi piacerebbe avere i diritti per poterlo pubblicare con TESSERE: anche in omaggio a tutti.
Ho incontrato De Mauro un paio di volte, credo, mentre ho avuto la fortuna di conoscere meglio suo figlio Giovanni, il bravissimo ideatore e direttore di “Internazionale”, forse la più bella rivista italiana.
Sia detto senza offese: talvolta penso che sia più difficile fare Glenn Gould che Johan Sebastian Bach.
Eccolo qui, il 2017, quello che mi consegnerà 60 anni di vita.
Eccolo, incerto, uno scenario mondiale da far paura, ne avessi ancora.
Eccolo, raggiunto con amici, amanti, parenti, coltivati e sempre cresciuti come allo stato brado, forse il meglio che ho racimolato.
Eccolo, pieno di acciacchi e la forza di un toro deciso a non farsi abbattere e la serenità di potersene andare, avendo saldato tutti i conti e messo in salvo quel che deve restare.
Eccolo, con la persona essenziale che me lo augura regalandomi una poesia, in attesa delle sue.
Eccolo, sudato in quello precedente, come in tutti quelli prima.
Eccolo, interrogativo, per questo aperto, possibile, addirittura fiducioso.
Eccolo, fatto di rughe e cicatrici, senza rancori, invidie e gelosie, tante certezze, molti dubbi. E il catalogo degli errori.
Eccolo, grazie a voi che me l’avete consegnato.
Abbiamo un solo modo di vincere, anche a costo di perdere: stare nella legalità.
Ho cercato su Google se trovavo formule magiche con relativi gesti da compiere in una qualunque cultura che si sia servita o si serva di riti propiziatori od affidi comunque a poteri sovra naturali o a regioni mistiche la risoluzione dei propri problemi, la cura dei propri mali, il raggiungimento dei propri scopi e mi sono imbattuto in siti che propongono questo genere di usanze e consigliano di quale frase servirsi o di quale gesto compiere appunto per percorrere la strada che – mi insegnò all’università il mio amatissimo professor Paolo Rossi Monti – fu non immediatamente ma con decisione abbandonata a partire, nel Seicento, da Francis Bacon in favore di quella che ancor oggi noi chiamiamo scienza e che alle sue origini, proprio in quella stagione – il secolo di Galileo, Descartes, Newton, Huygens, Vesalio, Copernico, Bruno, Malpighi, Harvey, Redi, Borelli – faticò a segnare un confine ben definito, una marcata cesura, una distinzione netta tra quanto si dice sia affidato solo alle credenze e quanto, invece, si reputa abbia fondamento di dimostrabilità, ripetitibilità, universalità, per riuscirci infine, dischiudendoci gli orizzonti ai quali oggi siamo, senza spesso chiederci neanche perché e come, abituati e ci pare di non poterne fare a meno ed attribuiamo ad essi fiducia ed affidamento, convinzioni e speranze.
Ho trascorso il pranzo di Natale ospite di un’anziana coppia di amici, lui si chiama Adamo e lei Eva, ma si tratta naturalmente di un caso di omonimia, non solo perché il pranzo si è svolto oggi e non più di 5.000 anni fa come narra la leggenda del Paradiso terrestre, ma anche perché festeggiando essi la nascita di Gesù, sono chiaramente postumi rispetto alle informazioni contenute nei Vangeli.
Adamo ed Eva hanno due figli, un maschio ed una femmina, più giovani di me, ma non poi così tanto: Abramo e Rebecca, i quali si sono sposati – o meglio, lui si è sposato, lei convive – con Fatima e Antonio, ed hanno avuto rispettivamente come figli Manfred e Manuel lui, Sasha, Giuseppe ed Elisabetta lei.
Questo il comunicato stampa emesso il 10 dicembre, giornata mondiale dei diritti umani, da TESSERE, la casa editrice a cui ho dato vita insieme ad alcuni ottimi amici:
per TESSERE sapere e relazioni
Nasce una nuova casa editrice. Si chiama TESSERE e, nelle intenzioni dei suoi fondatori, a fianco dei libri tenterà di produrre, con il sostegno dei soci dell’omonima associazione culturale, anche iniziative di qualità capaci di far riflettere, diffondere il sapere, far crescere la consapevolezza.
Il 15 agosto scorso, nel post intitolato Un libro per i miei lettori, annunciavo la pubblicazione in questo blog delle 30 interviste, realizzate quando lavoravo a l’Unità a grandi personaggi della cultura – Garin, Rubinstein, Haskell, Rossi Monti, Geymonat, Thom, Quine, Toraldo di Francia, Eco per dirne alcuni – che avevo assemblato con il titolo Appropriazione indebita, sottolineando in questo modo il debito agli intervistati più che all’intervistatore, e che molti miei amici, i quali avevano avuto occasione di leggerle così raccolte, insistevano perché divenissero di dominio pubblico, prendessero la forma di libro.
Spiegavo in quel post tanto i motivi della mia ritrosia ad accogliere quell’insistenza, quanto il fastidio accumulato nelle relazioni con molti editori ai quali invano ho inviato il dattiloscritto di quasi una decina di titoli che giacciono nel mio cassetto, ricevendo risposte o preconfezionate o contraddittorie, incomprensibili o non ricevendone affatto.
Hasta la victoria, siempre, comandante Fidel. Merita un saluto commosso il líder máximo che, insieme a Ernesto Che Guevara – di cui l’anno prossimo ricorre il cinquantenario della morte – ha fatto sperare, forse illudere più di una generazione, certamente la mia.
Liberi dall’America e dal suo consumismo, da Battista, dai suoi bordelli e dai suoi casinò, ma anche dal regime sovietico e – dicono tutti quelli che sono stati a visitare Cuba – liberi di sorridere, di sapersi divertire, di cogliere l’attimo, malgrado la povertà e le maglie dello Stato.
Vittorio Sermonti, l’intellettuale noto soprattutto per le sue letture dantesche, morto qualche giorno fa a 87 anni, ha collaborato con l’Unità tra il 1979 e il 1982, nei primi anni in cui io ho iniziato a lavorare in quel giornale dove avrei voluto terminare la mia carriera giornalistica.
A portarlo in redazione fu Alfredo Reichlin, un uomo che continua a pensare, malgrado l’età, anzi forse proprio per l’età, con grande lucidità cercando di spiegare quanto avviene intorno a noi anziché menar fendenti a destra e a manca.
Ricordo Sermonti come un uomo gentilissimo e affabile, duro tuttavia, direi rigoroso e autorevole, ma non chiuso e presuntuoso come tanti che ho conosciuto, valgono poco e si danno un sacco di arie.
Lo ricordo per evidenziare questo suo periodo lavorativo un po’ oscurato nei coccodrilli comparsi sulla stampa, molti dei quali tesi solo a mettere a confronto le letture dantesche sommesse sue e pluridecorate di Benigni, in una polemica contro il comico pratese che sottende tutt’altro, a cominciare dall’invidia.
E per evidenziare come il giornale fondato da Antonio Gramsci – regolarmente sminuito e disprezzato per essere “l’organo” del Partito comunista, cioè una voce condizionata, succube e supina – sia invece stato non solo una fucina di idee, un’arena di scambi culturali, un autorevole quotidiano, ma anche un radar potente che ha indagato sul Paese, ne ha scoperto angoli nascosti, ha fatto emergere realtà che altrimenti non si sarebbero conosciute.
Quando ho conosciuto Antonella non sapevo fosse stata la passeggera n. 10832513. Questo il numero di prenotazione che le era stato assegnato per prendere posto nella cabina 9278 della Costa Concordia, la nave che alle 21 e 45 del 13 gennaio 2012 finì contro gli scogli dell’isola dove ho trascorso molte vacanze della mia infanzia e poi della mia giovinezza, piene di ricordi belli e brutti: l’isola del Giglio, 27 chilometri di costa a credo circa 10 miglia marine dal Monte Argentario, una vera e propria rarità geografica di cui la Toscana detiene il primato.
Sono stato qualche sera fa ad un incontro in una piccola bella libreria di Firenze, la Sit’n’Breakfast in via San Gallo. Si parlava di poliamore, neologismo di cui non ero a conoscenza e col quale, ho scoperto, si esprime il concetto di “amori molteplici”, facendo riferimento ad una posizione filosofica che «ammette la possibilità che una persona abbia più relazioni intime (sentimentali e/o sessuali), nel pieno consenso di tutti i partner coinvolti, in opposizione al postulato della monogamia sociale come norma necessaria».
Di moda capisco poco. Ci sono foto che mi ritraggono bambino con le Clark o con quelle scarpe basse che hanno la suola di carrarmato: tipo le Paraboot, ma fatte da Scarpa a Treviso. Le portavo allora, le porto ancora adesso e ho delle giacche di tweed e di velluto, dei golf di lambswool, cachemire, cammello che portano sulle spalle decenni, diversi decenni, senza mostrare cenni di voler andare in pensione.
Non dico di non essere stato e non essere attento al mio “look”, alla mia immagine, a come appaio, ma sono disattento, anzi indispettito dal frullare dei modelli, dall’arzigogolare degli stili, dal tentativo forzato di trovare sempre qualcosa di nuovo e di choccante, di bizzarro ed estroverso, perché penso che la creatività non sia solo trasgressione, rottura degli schemi, esagerazione, ma anche riflessione, elaborazione di quanto già è stato mirabilmente messo a punto, capacità di conservare ed andare oltre. Vale in letteratura, nell’arte, nella musica, non vedo perché non dovrebbe valere nell’abbigliamento.
Questo il mio articolo pubblicato nel sito toscano del Sole 24 Ore T24:
TRASPORTI | 8 NOVEMBRE 2016
Car sharing, fenomeno in crescita
di Daniele Pugliese
L’ultima arrivata, Share’ngo, ha festeggiato da poco un anno. La prima, Car2go, a maggio ne compirà 3. Tre – la terza è Enjoy, sbarcata nel novembre del 2014 – come il numero delle società che a Firenze, su 650 macchine, fanno circolare quasi 70 mila automobilisti decisi a rinunciare a un’auto propria servendosi di quelle “condivise”, qui a disposizione di chi le prende e da lasciare là a disposizione di chi le prenderà al loro posto.
Il libro che parla di quella particolarissima esperienza che ho vissuto in gioventù è stato presentato ieri in una sala sontuosa dove per lungo tempo ho lavorato incontrando anche personalità di grande spessore, come per esempio il premier cinese Wen Jao Bao e quello israeliano Simon Perez. Denominatore comune la politica, non più praticata se non pensando, scrivendo, cercando di capire, conversando con chi capita di incontrare.
Il libro è infatti una prima ricostruzione storica del Movimento studentesco fiorentino nel quale ho militato fra il 1973 e il 1978. Si intitola Concentramento ore 9 – come la dicitura che compariva in calce ai volantini che convocavano una manifestazione dando appuntamento agli studenti delle scuole medie a quell’ora quasi sempre in piazza San Marco, divenuta, ma scritta per esteso tutta in lettera e tutta attaccata, anche il nome del primo giornale che ho diretto – e raccoglie il corposo contributo di Matteo Mazzoni e quelli di Dario Ragazzini e Sylvia Casagli.
Venerdì le ceneri di Gioia Ciotti Jorio verranno riposte nel cimitero di Scandicci dove riposa una delle due persone “essenziali” nella mia vita: Giorgio Jorio. Avevo scritto un testo inviato prima a “Repubblica” e poi fatto avere ad altri quotidiani per ricordarla, perché lei e Giorgio hanno contato molto per molti e per molto a Firenze. Ma i giornali hanno cose più importanti da pubblicare, la memoria pare non interessarli, le relazioni umane ancora meno, la cultura appena appena.
Questo il testo della relazione Attualità dell’idea di Apocalisse che ho presentato ieri all’incontro su “Apocalissi ieri e oggi” nell’ambito del ciclo Incontri alla fine del mondo organizzato dal Museo Pecci di Prato ed al quale hanno partecipato il professor Marco Ciardi dell’Università di Bologna, che ha parlato di Apocalissi e ricerche d’altri mondi. Atlantide e non solo, e il professor Andrea Mecacci, dell’Università di Bologna, con un intervento su Estetiche dell’apocalisse:
«Alea iacta est». Secondo Svetonio la frase l’avrebbe pronunciata, nella notte del 10 gennaio del 49 a.C. Giulio Cesare varcando il fiume Rubicone e prendendo quindi una decisione senza possibilità di appello.
Vien tradotta con «Il dado è tratto» e sta a significare che la decisione è stata presa e qualunque siano le conseguenze vanno messe nel conto e non si torna indietro.
– Succede lo stesso con le macchine, un granello di sabbia negli ingranaggi non ferma una macchina, ma se una persona comincia a lanciare un po’ più di sabbia ecco che il motore inizia a perdere colpi. Nei miei sogni vedo tanta gente che lancia sabbia negli ingranaggi.
– Ti sei un romantico Otto Quangel.
– Sono um meccanico.
– Sì, sei anche quello.
– Sei tu la romantica, almeno lo eri un tempo.
– Lo ero un tempo?
Dal film Lettere da Berlino di Vincent Perez, tratto dal romanzo di Hans Fallada, Ognuno muore solo.
Appropriazione indebita
III. La nebulosa più prossima
3.7. Willy Pasini: Dizionario erotico
Corsi e ricorsi dell’amplesso. Come fenomeno sociale va e viene, non gli si sta dietro. A leggere le poco succulente inchieste dei settimanali ci si scopre sette giorni assatanati e sette in clausura. qual è la verità? Chi può dirlo meglio di Willy Pasini, una delle voci più autorevoli della sessuologia europea, docente al dipartimento di psichiatria dell’Università di Ginevra e direttore scientifico dell’Istituto internazionale di sessuologia di Firenze?
Spesso si sente parlare di caduta del desiderio sessuale. Secondo lei è un fenomeno che esiste veramente? È la diffusione dell’Aids la sua causa?
Gioia non c’è più. Ieri se n’è andata. Aveva 93 anni e lei per prima sapeva che stava per succedere.
Forse è per questo che nelle settimane scorse aveva insistito perché andassi a trovarla, dicendomi che doveva parlarmi. L’hanno portata in pronto soccorso proprio il giorno che stavo per arrivare. Non sono riuscito – come invece con Giorgio, suo marito – ad esserle accanto poco prima che la morte me la strappasse.
Non provo senso di colpa per il mio “ritardo”, ma solo dispiacere, anzi, dolore. Che riesco e so trattenere. Ma c’è. Dolore e dispiacere.
Il primo non ha spiegazioni, o se le ha è inutile descriverle. Ma il secondo, invece, merita un attimo di attenzione. Che sarà forse molto più di un attimo. Tutto quello che occorre.
Un attimo di attenzione per immaginare cosa avrebbe voluto dirmi, per interrogarmi su quali sarebbero state le parole che “doveva” dirmi. Non lo saprò mai.
Questo il mio articolo sul museo della macchina da scrivere di Parcines e la storia di Peter Mitterhofer, pubblicato oggi su “Doppiozero”, del quale avevo già scritto in Lassù a Parcines:
Peter Mitterhofer e la macchina da scrivere
Daniele Pugliese
C’era una volta la Cacania. Come dice Musil lì era tutto “kaiserlich-königlich”, imperial-regio. Lo testimoniano ancora le K.K. impresse sui tombini nelle strade di Merano.
E nella Cacania – che si spingeva appunto anche nel Sud Tirolo, detto oggi Alto Adige – c’era un brav’uomo di nome Peter Mitterhofer. Proprio negli anni in cui governava Cecco Beppe e la “sua” Sissi, divideva gli animi tra entusiasti e denigratori. Si racconta Peter fosse molto amato dai bambini, che probabilmente vedevano in lui qualcosa di simile a Emmett “Doc” Brown (Christopher Lloyd), lo “scienziato pazzo” che in Ritorno al futuro di Robert Zemeckis (1985) affascina il giovane Marty McFly (Michael J. Fox) o, per chi se lo ricorda, a Maurizio Nichetti in Ratataplan (1979).
Questo il mio articolo pubblicato sul “Sole 24 Ore Sanità” di questa settimana:
Intervista allo psicanalista argentino Eduardo Mandelbaum fondatore dei “Gruppi multifamiliari”
Ascolto, rispetto, affetto: la psicanalisi si fa «integrativa»
Intervista allo psicanalista argentino Eduardo Mandelbaum fondatore dei “Gruppi multifamiliari”Ascolto, rispetto, affetto: la psicanalisi si fa «integrativa»Il suo “lettino di Freud” non è la celebre chaise longue disegnata nel 1928 da Le Corbusier. È un centinaio di seggiole nel salone del Municipio di San Isidro, uno dei “quartieri” bene di Buenos Aires, la capitale dell’Argentina che conta, con i sobborghi, quasi 14 milioni di abitanti, ed ha, all’ennesima potenza, tutte le contraddizioni sociali di una metropoli.
Questo il mio articolo pubblicato nel bel sito www.doppiozero.com sulla mostra che inaugura la riapertura del Museo Pecci a Prato dedicata alla fine del mondo:
La fine del mondo dall’astronave del Pecci
Daniele Pugliese
Prima della fine del mondo ci saranno ovviamente “Gli ultimi giorni dell’umanità”. È questo il titolo del dissacrante dramma – 779 pagine nell’edizione Adelphi in 2 volumi – che Karl Kraus scrisse fra il 1915 e il 1922, avvertendo nella premessa il lettore che la sua messa in scena «è concepita per un teatro di Marte», richiedendo «secondo misure terrestri, circa dieci serate».
Non ho avuto il tempo, prima, di scrivere qualcosa sulla mostra che, purtroppo, si conclude oggi al Museo degli Innocenti di Firenze e sono riuscito a vedere nelle ultime settimane di settembre, dedicata a Lica e Albe Steiner.
Lui, per chi non lo sapesse, è stato il grafico che ha disegnato “Rinascita” di Palmiro Togliatti e “Il Politecnico” di Elio Vittorini, ed anche molte copertine della Feltrinelli al suo esordio nel 1954, comprese quelle de Il dottor Živago di Boris Pasternak nel 1957 e del Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel 1958, così come il marchio della Coop – con la C, le due OO e la P quasi fuse insieme, realizzato nel 1963 in occasione della inaugurazione a Reggio Emilia del «primo magazzino cooperativo a libero servizio» – sono suoi.
Questo l’articolo che avevo riscritto per il settimanale “Confidenze”, con il quale ho brevemente collaborato alcuni anni fa quando a dirigerlo c’era Patrizia Avoledo, dopo che Lei, la regine delle api mi è stato giustamente bocciato chiedendomi di riscriverlo come sono scritte le altre storie pubblicate da quel periodico: in prima persona. Ma anche questo non è stato pubblicato: perché, dice, hanno già abbastanza collaboratori.
L’unica donna in Europa che caccia vespe per salvare vite umane
Storia di Elisabetta Francescato raccolta da Daniele Pugliese
Avevo paura di tutto. Mia madre raccontava che a pochi mesi, appena iniziavo a sgattaiolare, quando mi portavano sulla sabbia, così instabile e mobile, mi mettevo a piangere come un ossesso e non smettevo più finché non mi riprendevano in braccio e mi facevano tornare su una superficie solida e ferma.
Questo l’articolo che avevo scritto per il settimanale “Confidenze”, con il quale ho brevemente collaborato alcuni anni fa quando a dirigerlo c’era Patrizia Avoledo, articolo che giustamente mi è stato bocciato chiedendomi di riscriverlo come sono scritte le altre storie pubblicate da quel periodico: in prima persona.
Storia di Elisabetta Francescato, l’unica donna in Europa che caccia vespe per salvare vite umane
Aveva paura di tutto. La madre racconta che quando aveva pochi mesi e iniziava appena a sgattaiolare, appena la portavano sulla sabbia, così instabile e mobile, iniziava a piangere come un ossesso e non smetteva più finché non la riprendevano in braccio e la facevano tornare su una superficie solida e ferma.
Ma anche lì continuavano le sue paure. Suo fratello, di poco più grande, saltabeccava come un folletto, incurante dei graffi e dei bernoccoli che quelle sue gioiose scorribande inevitabilmente gli procuravano, mentre lei, intimorita e diffidente, non ne voleva sapere.
Appropriazione indebita
III. La nebulosa più prossima
3.6. Luigi Amaducci: Il morbo di Gilda
Era una donna bellissima. La fine lenta e drammatica di Rita Hayworth richiamò l’attenzione del mondo sulla malattia che aveva reso insopportabile gli ultimi giorni della sua vita: il morbo di Alzheimer. Lo scrittore John Irving raccontò un dramma simile nel suo libro Le regole della casa del sidro. Seicentomila casi solo in Italia e l’incremento va di pari passo con l’invecchiamento della popolazione. Ne abbiamo parlato con il professor Luigi Amaducci, coordinatore del progetto europeo di studio sul morbo.
Con Antonella Blanco, Rita Martinelli, Luigi Chicca e Massimo Bellomo abbiamo raccolto poco meno di un centinaio di euro con i quali acquistare una copia dei 5 volumi di Da Gramsci a Berlinguer. La via italiana al socialismo attraverso i congressi del Partito comunista italiano, pubblicato nel 1985 dalle Edizioni del Calendario insieme alla Marsilio, curato da mio padre, Orazio Pugliese, con una introduzione di Renato Zangheri ed il contributo di Renzo Pecchioli (vol. I – 1921 – 1943), Sergio Bertolissi e Lapo Sestan (vol. II° – 1944 – 1955), Francesco Benvenuti (vol. III° – 1956 – 1964) e mio insieme a mio padre (vol. IV° – 1964 – 1975 e vol. V° – 1976 – 1984, per i quali sono stati preziosi i contributi di Eva Pollini e Gian Luca Corradi).
Appropriazione indebita
III. La nebulosa più prossima
3.5. Pino Pini: I malati sani
È l’ultimo elogio della pazzia. L’ultimo di una lunga tradizione che, da Freud a Basaglia, ha tentato di spezzare i reticolati del lager fisico e ideologico in cui sono sempre stati tenuti i cosiddetti malati mentali.
A farsi promotore dello «scandalo» un’organizzazione inglese che si chiama «Mind» e che sta lavorando per far curare i «matti» dai «matti».
«Proprio così», racconta lo psichiatra fiorentino Pino Pini, l’unico italiano ad aver partecipato al convegno tenutosi a Brighton nel settembre scorso per iniziativa appunto del «Mind» e dell’«Health Authority of Sussex», per così dire l’Usl della regione che ospita la cittadina britannica.
Scrivi dunque le cose che hai visto,
quelle presenti e quelle che devono accadere in seguito.
Giovanni, Apocalisse, 19
La fine dei mondi, anziché quella del mondo. È la tesi di fondo che – scartabellando per anni la cosiddetta letteratura apocalittica, costituita di basilari testi filosofici e di altrettanto imperdibili libri di narrativa – ho sostenuto in un saggio senza fine che – al posto di quella sul pensiero morfologico in Goethe, Spengler e Wittgenstein – avrebbe dovuto essere in origine la mia tesi di laurea, poi divenuto, sacrificandone numerose parti, il libro Apocalisse il giorno dopo. La fine del mondo fra deliri e lucidità, pubblicato dalla Baskerville di Bologna nel 2012 all’alba della fatidica data nella quale saremmo stati spazzati via tutti da un asteroide la cui orbita avrebbe centrato in pieno il pianeta.
Questo l’articolo pubblicato oggi nell’edizione on line de “Il Sole 24 Ore Sanità”:
LAVORO E PROFESSIONE
In sala operatoria ortopedica con un’app, la formazione in formato smartphone
Con un semplice clic sul display del telefonino, più o meno 2.000 fra protesi all’anca, al ginocchio, alla spalla, ricucitura della cuffia dei rotatori o dei legamenti del menisco o altri interventi ortopedici d’elezione eseguiti dai migliori specialisti di 15 centri d’eccellenza in Italia, saranno ogni anno “osservabili” da specializzandi e chirurghi desiderosi di apprendere nuove tecniche e vedere da vicino come opera un loro collega più anziano o maggiormente esperto in quel tipo di intervento.
Questo l’articolo pubblicato su “T24 del Sole 24 Ore” di oggi:
SANITÀ | 6 OTTOBRE 2016
Ecco l’App per entrare in sala operatoria e seguire i “maestri” a distanza
di Daniele Pugliese
È a Firenze che è stata messa a punto la app telefonica con cui i giovani chirurghi ortopedici potranno “prenotare” un posto in prima fila per assistere alle operazioni più complesse che i loro colleghi più esperti eseguono nei 15 centri italiani maggiormente specializzati nell’impianto di una protesi all’anca, al ginocchio, alla spalla, nella ricucitura della cuffia dei rotatori o dei legamenti del menisco o in altri interventi ortopedici d’elezione.
Appropriazione indebita
III. La nebulosa più prossima
3.4. Eva Buiatti: Le smagliature della morte
Per la maggioranza è solo un fastidioso obolo alla burocrazia. Tanto più detestabile perché accompagna il dolore del lutto. Ma il «certificato di decesso» per qualcuno è una fonte inesauribile di dati e notizie che possono dirci molto sui vivi più che sui morti.
Eva Buiatti, epidemiologa al Centro studi prevenzione oncologica di Firenze, l’unica struttura pubblica italiana che opera in questo settore, è uno degli oltre 300 medici che hanno partecipato al convegno nazionale sugli studi di mortalità che si è recentemente tenuto nel capoluogo toscano. Giunto alla quarta edizione, il convegno ha triplicato, in pochi anni, le presenze. «Segno – dice la dottoressa Buiatti – di un interesse crescente in Italia per la statistica».
Appropriazione indebita
III. La nebulosa più prossima
3.3. Mario Barucci: Invecchiare, a piccole dosi
Avvertenza: invecchiare a piccole dosi. Se il professor Mario Barucci avesse messo a punto un farmaco, anziché scrivere un libro, avrebbe probabilmente chiesto che sulla confezione del medicinale venisse stampato in neretto quell’avviso. Invece, dopo anni di lavoro sul campo – è stato primario degli Ospedali neuropsichiatrici fiorentini – ha voluto cimentarsi con un saggio che non intende presentarsi come un vademecum rivolto all’anziano per campare meglio, piuttosto come uno strumento «non solo per il geriatra, ma per ogni medico: addirittura per il pediatra e per il neuropsichiatra infantile», perché «la preparazione alla vecchiaia deve iniziare dai primi anni di vita».
Appropriazione indebita
III. La nebulosa più prossima
3.2. Giorgio Abraham:
L’ubriacatura del piacere
«…sarebbe molto stupito all’idea che qualcuno possa considerarlo uno stupratore». Finiva così la testimonianza raccolta da Gianna Schelotto sull’«Unità» del 17 novembre di uno stupro «gentile». Sarebbe davvero molto stupito quello stupratore? La domanda l’abbiamo girata allo psicologo Giorgio Abraham, avvicinandolo al convegno della Società italiana di sessuologia tenutosi a Firenze. E gli abbiamo chiesto di ricostruire la psicologia di un ipotetico stupratore, magari «gentile» come quello della testimonianza di Gianna Schelotto.